Usa-Cina: una nuova Guerra fredda?

Le due superpotenze sono ai ferri corti e, anche al loro interno, devono fare i conti con posizioni più o meni intransigenti. Un'analisi aspettando il nuovo tavolo di trattative

di Maurizio Sacchi

Il 24 maggio, dopo l’allarme seminato dal blocco Usa su Huawei di pochi giorni prima, Trump ha di nuovo aperto uno spiraglio nella dura contrapposizione che vede gli Stati uniti e la Cina affrontarsi sui temi del commercio mondiale. Commenta The Guardian di Londra: “Dopo aver etichettato Huawei come “qualcosa di molto pericoloso”, il Presidente ha comunque affermato che è possibile che la società tecnologica sia inclusa in una sorta di accordo commerciale. E aggiunge: “Questa affermazione confusa potenzialmente apre, anche se leggermente, la porta che stava per chiudersi, e rende il summit del G20 di giugno a Osaka ancora più interessante”.

Un passo indietro rispetto alle mosse precedenti è stata la clamorosa la proibizione a Google di continuare a fornire ai telefoni Huawei il sistema operativo Android, di cui è proprietaria. Notizia che ha sconvolto il mondo della finanza, messo in discussione la crescita impetuosa dell’azienda cinese, sopratutto in Europa, e ha innescato una serie di reazioni in Cina. Mentre sul piano internazionale Pechino ha scelto di mantenere bassi i toni, lasciando così spazio a un riallacciarsi di colloqui costruttivi, in vista dell’incontro fra i due Presidenti di fine giugno, sul piano interno Xi ha battuto sul tema dell’orgoglio nazionale, rievocando la Lunga marcia intrapresa dall’Esercito rosso del Partito comunista cinese, precursore dell’Esercito popolare di liberazione, per sfuggire all’inseguimento dell’esercito del Kuomintang. L’evento è considerato in Cina come la vera nascita della Repubblica popolare, e richiamarlo ha il senso di preparare i cinesi a un periodo di sacrifici, che saranno ricompensati dalla vittoria.

E’ una guerra fra le due superpotenze per ora principalmente mediatica, in cui a passi distensivi, da mesi si alternano posizioni intransigenti. Il segretario di Stato americano Pompeo ha duramente attaccato le dichiarazioni della dirigente Huawei Meng Wanzhou, attualmente agli arresti domiciliari in Canada, che ha dichiarato che la sua compagnia è a tutti gli effetti una società privata, che nulla a a che vedere con il governo di Pechino, accusandola senza giri di parole di mentire. Se il capo d’accusa su cui si basa la detenzione in Canada della funzionaria è collegato alla sicurezza – cioè alla possibilità che i dati strategici americani entrino nelle mani della Cina – la vera guerra è però commerciale, e ormai dichiaratamente sottintende la volontà, di una parte almeno della amministrazione statunitense, di contenere l’espansione cinese sul piano economico e strategico. Anche a costo di mettere in crisi la stessa globalizzazione e il credo liberista che ne è il fondamento.

La concezione protezionistica che sembra guidare le mosse di Trump non è però indiscussa nei vertici politici ed economici statunitensi. Intanto, si sta già evidenziando che una buona parte dei costi delle tariffe sui prodotti cinesi in Usa sarà pagata dai consumatori americani. In un colloquio fra l’amministratore delegato della catena di supermercati Wallmart, Brett Biggs, e il ministro dell’economia americano Mnuchkin, è emerso che, inevitabilmente, i prezzi di generi di largo consumo, come i pannolini e il latte in polvere per l’infanzia saliranno; e che se una parte di quei costi venisse assunto dalla Wallmart, i suoi profitti ne risentirebbero. E il blocco degli scambi di componenti essenziali metterebbe in crisi, come già sta accadendo, anche i settori hi-tech dei computer e della telefonia. Tutto questo fa sì che da molte parti si comincino a sollevare dubbi sulla convenienza di proseguire su questa strada.

Ma i falchi che propugnano una linea dura spingono per lo scontro frontale: la Cnbc, la più seguita voce in tema economico americana, in un pezzo di Ron Insana, significativamente intitolato: “I mercati non capiscono, questa è più di una guerra commerciale: è una nuova Guerra Fredda”, si dice fra l’altro: “oggi i più stretti consiglieri di Trump, tra cui Robert Lighthizer e Peter Navarro, hanno identificato la Cina come la principale minaccia per gli Stati Uniti negli anni e nei decenni a venire. Sostengono, anche più del presidente stesso, che la Cina rappresenta una minaccia economica e militare esistenziale agli Stati Uniti e spesso implicano che niente meno che paralizzare l’economia cinese impedirà a Pechino di diventare più forte degli Stati Uniti in termini militari, minacciando gli interessi Usa nel Pacifico e diventando la principale potenza economica del mondo nei prossimi 10-15 anni”.

L’obiettivo principale dei sostenitori della linea dura è il cuore stesso del potere cinese. Cioè l’alleanza strategica fra Stato -il Partito comunista- e grandi gruppi industriali. Nell’analisi del 2015 “Quanto è rosso il tuo capitalismo?” The Economist descriveva la natura della proprietà delle aziende in Cina, sottolineando che nella Repubblica popolare cinese è necessario avere connessioni potenti, o guanxi, per avere veramente successo. Se si desidera sapere se un’azienda si comporterà come impresa statale o come impresa di mercato capitalistica, è importante considerare quanto sono strategici, chi decide sulla distribuzione del budget e delle risorse umane e quale rapporto l’impresa ha con il partito. Alcune delle richieste di Trump, nel corso di questi negoziati, per essere accolte, implicherebbero lo smantellamento di questo collaudato e, innegabilmente, efficiente sistema politico-economico: per fare della Cina semplicemente un mercato liberalizzato come si suppone sia quello dei Paesi occidentali. Su queste basi, è impensabile che Pechino ceda alle pressioni americane. E il ricorso alla retorica nazionalista e rivoluzionaria indica la ferma volontà di non cedere a queste pressioni.

La paura che la Cina diventi la prima superpotenza mondiale alimenta in Usa questa politica di scontro aperto, e dà vento su cui i falchi possono volare. Ma si tratta di una paura fondata? E’ lo stesso servizio della Cnbc che evoca una nuova guerra fredda a dubitarne. Facendo notare che la Cina, acquisendo buona parte dell’enorme debito pubblico americano, e di molti altri Paesi, ed essendo esposta per altre enormi cifre nei confronti dell’industria edilizia di casa propria, è tutt’altro che invulnerabile. E aggiunge che lo squilibrio demografico, conseguenza della rigidissima politica di controllo delle nascite, ha creato una nazione di anziani, che gravano e graveranno sempre più sui bilanci statali.

Occorrerà aspettare la fine di giugno, quando le due superpotenze si torneranno a sedere al tavolo delle trattative, per capire se nell’amministrazione di Washington sarà prevalsa una linea più ragionevole e meno aggressiva, e si riallacceranno rapporti commerciali che consentano all’economia mondiale di riprendere la sua navigazione in acque meno agitate. Oppure se la visione di Lightiger e Navarro avrà prevalso, e questa nuova versione della Guerra fredda sarà dichiarata e combattuta.

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