Usa-Cina: Trump rilancia, ma i mercati non gradiscono

Guerre commerciali: nuove tariffe americane su tutto l'import dalla Rpc. Le reazioni delle borse e quelle di Pechino: "reagiremo"

di Maurizio Sacchi

Il 1 di agosto Donald Trump ha dichiarato su Twitter che  a partire dal 1 settembre gli Stati uniti avrebbero imposto una tariffa del 10% su un ulteriore importo di $ 300 miliardi di importazioni cinesi. Ovvero sulla totalità delle merci proveniente dalla Repubblica popolare. Nell’ora successiva, i guadagni del mercato azionario degli ultimi giorni, che avevano fatto annunciare al presidente il successo della sua linea dura, si sono rapidamente dissolti. Al di fuori del mercato azionario, i prezzi del petrolio, che sono altamente sensibili alle prospettive economiche globali, sono precipitati del 7% e i rendimenti dei titoli di stato sono crollati.

“È stato riferito che vi è stata una certa divisione nella cerchia interna di Trump, con il segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin che raccomandava alla Casa Bianca di informare la Cina prima di annunciare le nuove tariffe” Lo riferisce il South China morning post, che riporta come Trump abbia rifiutato e twittato il suo piano dall’Oval Office, di fronte a Mnuchin, al rappresentante commerciale americano Robert Lighthizer, al capo dello staff Mick Mulvaney e a persone come Lighthizer, che hanno costantemente sostenuto una posizione più forte contro la Cina.

Borse in discesa

La caduta dei mercati sembra indicare che questa volta i centri di decisione della finanza internazionale non vedano un futuro rassicurante, nella prospettiva di un prolungarsi ed inasprirsi della guerra commerciale. L’adozione di misure analoghe da parte cinese diviene ora quasi certa, e potrebbe portare a un rallentamento di tutta l’economia planetaria per un periodo impossibile da prevedere. Se troppi interessi fossero compromessi, Trump potrebbe essere abbandonato dalle lobby industriali e finanziarie, che tanto peso hanno sulle campagne politiche americane.

“Se verranno applicate le nuove tariffe proposte, l’ammontare annullerà quasi l’intero impulso dei tagli fiscali del 2019” . Lo  afferma Dan Clifton di Strategas, un’importante firma di brokers di New York. E secondo un sondaggio dell’americano ISM, che si occupa delle reti di distribuzione: “Si torna ai livelli del 2016. La componente occupazionale è stata la più debole da novembre 2016. I nuovi ordini di esportazione sono stati i più bassi da febbraio 2016.” Le due citazioni precedenti vengono dalla newsletter quotidiana di Kelly Evans, seguitissima opinionista della  CNBC, che non può che registrare la pessima reazione dei mercati  e del sistema produttivo all’ultima mossa dell’amministrazione Trump.

 Anche Peter Boockvar, commentatore economico della CBN commenta: “Sarò schietto. L’uso delle tariffe per raggiungere obiettivi non collegati all’economia è un errore colossale e gli effetti negativi ora si stanno ingrandendo. Quando torneremo indietro con la memoria a questi giorni, diremo “ A che stavamo pensando quando abbiamo combinato questo bel casino?” .

Ma è possibile che i mercati fermino Trump? C’è anche chi sostiene, come  l’economista Bob Brusca, che il presidente non stia cercando di danneggiare l’economia – ma stia cercando, nel lungo periodo, di aiutarla: “La scommessa di Trump sul libero scambio potrebbe essere la miglior cosa per noi,  che dobbiamo sostenerlo, perché la vittoria sarà più grande se riesce a vincerla “. Se riesce a vincerla. L’ultima frase è il commento finale della Evans, e il corsivo pieno di dubbi è suo. Ma è certo che l’opinione che la guerra commerciale con la Cina vada portata fino in fondo, anche se sul corto periodo l’intera economia ne dovesse soffrire, è diffusa. E, al momento, è quella dominante nel governo a stelle e strisce. Il commento di Trump alla reazione delle borse dopo l’annuncio delle tariffe è stato :“Markets will be OK”. 

“Reagiremo”

Intanto si aspettano le reazioni cinesi. Che per ora sono ferme ma moderate, e limitate alle dichiarazioni. Anche se è già stato detto che tariffe opposte sulle importazioni Usa sarebbero seguite a quelle americane; e che si sta preparando una lista di aziende americane e non, da escludere da ogni affare con la Repubblica popolare. l ministro degli Esteri Wang Yi ha affermato che le tariffe non sono “il modo corretto” per risolvere le controversie commerciali, mentre il portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying ha affermato che la Cina reagirà con “necessarie” contromisure. il Ministero del Commercio cinese ha anche affermato che la Cina reagirà e avverte gli Stati Uniti “che dovranno sopportare tutte le possibili conseguenze”. Li-Gang Liu, il principale economista cinese di Citigroup Global Markets Asia a Hong Kong, ha affermato che la decisione di Trump lo ha reso un “partner di negoziazione” meno affidabile per Pechino.

Pechino deve forse impegnarsi in una guerra più lunga e aspra che non una diatriba su merci e tariffe. L’obiettivo di lunga gittata dell’amministazione Trump è quello di indebolire la crescita della Cina, e farne saltare l’attuale sistema, non solo economico, ma politico. Come è stato più volte commentato, la particolare simbiosi di industria privata e statale è il motore stesso dell’economia cinese; e il potere del Partito comunista e dell’elite cinese potrebbe cadere solo per una crisi indotta esternamente che ne minasse il consenso popolare. Non è una concessione che alcun governante cinese potrebbe mai fare volontariamente, specialmente quando l’economia cresce almeno del 6% all’anno da decenni.

Se la strategia di accerchiamento e contenimento della Cina proseguirà,  augurandosi che la tensione non trovi sbocco nell’uso delle armi,  il gigante asiatico dovrà evitare in ogni modo di essere isolato e escluso, non solo dal mercato americano, ma anche da quello di chi dovesse seguire la politica di Trump. Ma la Cina, grazie alla politica di espansione commerciale, industriale e diplomatica, in cui rientra la nuova Via della seta, è tutt’altro che isolata.

Bamboo Network

I primi investitori esteri in Cina sono cinesi: sono i grandi gruppi della Bamboo network , la “Rete di bambù” , termine usato per definire le connessioni tra le imprese gestite dalla comunità cinese d’oltremare nel Sudest asiatico. Le comunità cinesi d’oltremare di Myanmar, Malaysia, Indonesia, Thailandia, Vietnam, Filippine e Singapore sono titolari dei singoli gruppi aziendali privati ​​ dominanti dell’area, e oltre ad essere legate fra loro da una fitta rete di interessi, mantengono stretti legami con con le economie della Grande Cina (Cina, Hong Kong, Macao e Taiwan).

Mentre gli Stati Uniti e la Cina cercano un terreno comune, l’impronta economica dell’Impero di mezzo in Africa continua a crescere” : così scrive Al Jazeera,  aggiungendo che la Cina “potrebbe beneficiare sia dell’unilateralismo statunitense sia dell’AfCFTA. Che è un trattato panafricano di commercio sottoscritto, proprio   nei giorni degli annunci di Trump, dalla Cina, i cui interessi e presenza in Africa sono crescenti e strategici. 

Progetto Africa

Nel 2018, il commercio USA-Africa si è ridotto a $ 61 miliardi, a malapena il 45 percento del valore del 2008. Nello stesso periodo, il valore degli scambi tra Cina e Africa ha superato i $ 200 miliardi e le proiezioni suggeriscono che è ancora in crescita.”Il lancio di AfCFTA apre nuove strade per la cooperazione Cina-Africa”, ha affermato Geng Shuang, portavoce del ministro degli affari esteri cinese. Pechino, ha detto, continuerà a investire in “connettività infrastrutturale, strutture commerciali e promozione industriale”. “Il gioco è appena iniziato”, ha dichiarato Mukhisa Kituyi, segretaria generale della Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo. La conferenza ha svolto un ruolo chiave nella definizione dei dettagli tecnici di AfCFTA. “Investire nei trasporti, nella logistica e nelle infrastrutture sarà una grande sfida poiché è ora più economico per un bene etiope raggiungere la Cina che la Nigeria”, ha detto Kituyi ad Al Jazeera.

Queste sono le armi di Pechino per affrontare la guerra, e che sono volte a scongiurare l’isolamento, sia economico sia politico, e il soffocamento della sua crescita. Che sono invece, almeno per ora,  per la parte per ora dominante della politica americana, i veri obbiettivi strategici di questa guerra appena cominciata.

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