Coronavirus: a che punto siamo

La situazione attuale dell'emergenza sanitaria  Covid-19. I rischi politico-economico-sociali di un'epidemia sempre più "infodemica":  l'unica cosa che non serve è l'allarmismo

di Elia Gerola.

Con circa 80 mila contagiati e 2.600 vittime da Covid-19, la comunità internazionale sta vivendo quella che il 30 gennaio 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato come “un’Emergenza Sanitaria Pubblica di Interesse Internazionaledal potenziale pandemico, impiegando il massimo livello d’allerta possibile nella governance di una malattia infettiva. Ieri, il 24 Febbraio, il Direttore Generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesu, ha ribadito da Ginevra, che nonostante siano stati accertati 2074 casi al di fuori della Cina, in 28 diversi paesi con 23 morti, la situazione risulta essere ancora sotto controllo.

“Se questo virus ha un potenziale pandemico?” si è chiesto retoricamente Ghebreyesu nella quotidiana conferenza stampa, la 35esima dall’accertamento dello scoppio dell’epidemia. “Assolutamente, si”, ha specificato, precisando però che sulla base delle analisi condotte dall’Oms non si è ancora giunti ad una situazione di diffusione incontrollata in molteplici aree geografiche, con elevata virulenza ed impatto sanitario grave su intere società.

Infografica BBC

La sindrome respiratoria acuta dovuta al nuovo ceppo di coronavirus è caratterizzata da febbre, tosse e difficoltà respiratorie, come riassume il Centro Usa per il controllo delle malattie e per la prevenzione (CDC). Secondo quanto riportato da varie fonti (spiegato qui dal NYT ) Covid-19 è una zoonosi, ovvero una patologia che originariamente interessava solo gli animali, ma che grazie a un cosiddetto “salto di specie” è diventata virale e patogenica anche per l’uomo. Si pensa, com’è noto,  che la prima infezione umana Covid-19 sia avvenuta nel mercato di Wuhan, nell’Hubei. La maggior parte dei malati è infatti concentrata nel territorio cinese. Tuttavia proprio mentre i numeri dell’epidemia in Cinasembrano rallentare – in quanto come spiega la BBC le vittime giornaliere diminuiscono così come i nuovi casi  e i  sopravvissuti al virus aumentano – le statistiche subiscono un trend inverso all’estero. L’Oms si è infatti dichiarato “preoccupato” per i casi di Covid-19 registrati in Corea del Sud, Italia e Iran, dove ad oggi si contano rispettivamente 843, 172 e 47 casi accertati, con 8, 7 e 12 vittime.

Governare la malattia

Le malattie infettive come il Covid-19 e le relative epidemie a potenziale pandemico, sono fenomeni complessi e multidimensionali, dalle molteplici e contemporanee ripercussioni di carattere politico-sanitario, economico-finanziario e psicologico-sociale. I “Regolamenti Sanitari Internazionali” (IHR), un testo legale vincolante sottoscritto da più di 196 Paesi, nato nel 1969 ed ora in vigore nella versione rivisitata del 2005, mira proprio a fornire agli Stati parti e all’Oms una serie di strumenti di governance atti a prevenire la comparsa, la diffusione incontrollata e l’impatto negativo a livello politico, economico e sociale di tali malattie infettive. Concretamente le IHR mirano a minimizzare il numero di vittime e contagiati, massimizzando i recuperi, riducendo al minimo l’impatto distruttivo sul commercio internazionale ed i rapporti di libero interscambio e movimento di persone tra gli Stati coinvolti.

A livello politico-sanitario la sfida è appunto quella di minimizzare il numero delle persone infette, limitando il contagio a livello sia nazionale che internazionale, massimizzando invece il numero dei guariti tra le persone contagiate. Molto spesso, come nel caso delle epidemie di Sars nel 2003, Ebola nel 2016, Covid-19, dato che gli agenti patogeni sono nuovi o comunque scarsamente sconosciuti, la comunità internazionale non dispone di strumenti preventivi farmacologici come i vaccini. Le misure preventive messe in campo nel caso del Covid-19 sono quindi principalmente di tipo non farmacologico.

Si parla piuttosto di sorveglianza epidemiologica, diagnosi precoce e contenimento. Ciò significa registrare e comunicare in maniera trasparente e tempestiva all’Oms i casi rilevati, imporre limitazioni temporanee alle libertà personali di movimento delle persone che si trovano all’interno del perimetro dei focolai dell’epidemia. La linea dettata dai Regolamenti Sanitari Internazionali è appunto quella di prevenire contenendo all’origine, limitando i viaggi da e verso le aree in cui si sono rilevati contagi molto frequenti, oppure sospendendo le attività sociali ed economiche che implicherebbero interazioni prolungate e ripetute tra individui. Queste sono ovviamente misure straordinarie, che derogano ad una libertà fondamentale in via straordinaria al fine di impedire la diffusione delle persone infette o potenzialmente tali in altre aree, prevenendo così il contagio della malattia.

In rosso la provincia di Hubei, in Cina.

Al contenimento all’origine, realizzato dalla Cina a partire dalla provincia di Hubei e in modo particolarmente stringente nell’area di Wuhan sin dai primi giorni di denuncia dell’epidemia, si aggiungono poi i controlli realizzati alle frontiere terrestri e aeree da parte degli altri Stati, sui viaggiatori provenienti dalla Cina. In caso di sintomi sospetti scatta dunque la quarantena, ovvero un periodo di isolamento nel quale grazie a test specifici viene testato il tipo di infezione al quale le persone sono effettivamente soggette. Queste misure, applicate con livelli più o meno rigidi e stringenti sono state implementati sia in Cina, che in Italia e Corea del Sud e sarebbero giustificate proprio in virtù della sicurezza sanitaria della collettività e della loro temporeneità.

Diffusione globale

Attualmente Covid-19 si sta però diffondendo a livello globale. Secondo molti analisti, almeno nei casi di Italia e Corea del Sud la comparsa di infetti sarebbe la conseguenza della presenza di portatori sani asintomatici come spiegato dalla dottoressa Nathalie MacDermott del King’s College di Londra. In altre parole vi sarebbero stati degli individui individui che sarebbero riusciti a superare i controlli di sorveglianza e diagnosi precoce alle frontiere per poi entrare in contatto con altre persone sane infettandole. Nel caso dell’Iran vale questo argomento, ma vi si aggiunge anche un’ulteriore duplice accusa come riporta Maysam Bizaer su Aljazeera.

Da una parte le autorità di Teheran vengono considerate responsabili della diffusione nazionale della malattia perché avrebbero interrotto i voli dalla Cina, importantissimo partner commerciale della Repubblica Islamica, solo 4 giorni dopo che l’Oms aveva proclamato la presenza di una emergenza sanitaria internazionale. Dall’altra, il governo iraniano è accusato di scarsa trasparenza e mancata diagnosi precoce e contenimento degli infetti, che in parte sarebbero riusciti a recarsi in altri Stati oppure ad entrare in contatto con altri individui, magari stranieri, che avrebbero permesso alla malattia di giungere in altri stati mediorientali limitrofi tra i quali ad esempio: Bahrein, Iraq e Kuwait. Mentre Turchia, Pakistan, Afghanistan e Armenia, hanno immediatamente reagito annunciando la chiusura dei loro confini con la Repubblica Islamica Shiita. Di carattere politico-economico è poi la questione della disponibilità delle risorse sanitarie di ogni governo. Mentre Corea del Sud ed Italia sono considerate avere buoni sistemi sanitari nazionali, con capacità di reperire le risorse e gli equipaggiamenti tecnici necessari per fare fronte all’emergenza sanitaria, vari analisti si sono detti preoccupati per l’Iran. Ad esempio, il dottor Abdinasir Abubakar, appartenente all’ufficio regionale dell’Oms per il Mediterraneo Orientale ha spiegato:”L’Iran possiede uno dei migliori sistemi sanitari della regione e ha la capacità di gestire l’epidemia”. Tuttavia si è detto preoccupato per la capacità iraniana di reperire i medicinali e la strumentazione necessaria a causa dell’embargo e delle sanzioni economiche conseguenti alla politica di massima pressione voluta dagli Usa di Trump.

Impatto economico

Le epidemie dal potenziale pandemico come quella di Covid-19, sono temute anche per il loro possibile impatto economico negativo, prevenire il quale è infatti il secondo scopo dei Regolamenti Sanitari Internazionali. Paradigmatici in questi caso sono due dati riguardanti la Cina. Da una parte infatti è stato calcolato che le emissioni di anidride carbonica, elemento di scarto dei principali processi produttivi, sono diminuite di un quarto (100 milioni di metri cubi) nei primi 10 giorni successivi al 25 gennaio rispetto all’anno precedente, proprio a causa della sospensione o comunque al rallentamento delle attività industriali. Dall’altra invece, indice emblematico della contrazione dei consumi interni è la diminuzione del 92% degli acuisti di automobili nei primi due mesi del 2020 denunciata da una preoccupata “China Passenger Car Association”.

Xi Jinping

E proprio di oggi invece, come riporta il South China Morning Post, in una preoccupata ed accorata dichiarazione alla nazione, il Presidente cinese Xi Jinping, ha invitato le aree meno colpite a riprendere la produzione industriale al fine di evitare un eccessivo rallentamento dell’economia cinese. A tal proposito il centro studi di Intesa San Paolo ha appunto stimato che l’economia cinese avrebbe subito una contrazione pari allo 0,4% del Pil annuale, proprio a causa degli effetti diretti e indiretti di Covid-19.

In un mondo globalizzato ed economicamente interdipendente, il rallentamento della Cina significa però anche diminuzione delle esportazioni verso di essa dall’estero e quindi un possibile effetto economico depressivo a catena su altri stati, essendo il gigante asiatico anche al seconda economia mondiale. Come riporta il The Korea Herald, Pechino è ad esempio il primo importatore di merci dalla Corea del Sud, il danno economico subito dai colossi sudcoreani come Samsung, Hyundai e Lg è quindi molto significativo, basti pensare che si stima che la domanda di telefoni diminuirà del 10% su base annua globale a causa della contrazione della corrispettiva domanda cinese.

Dalla Cina al mondo

Non solo:  varie industrie estere, rischiano di vedere rallentata la loro produzione a causa dell’impossibilità di ricevere le componenti base, prodotte dalle imprese cinesi. Covid-19 sta quindi deprimendo la domanda globale e interrompendo le cosiddette “catene produttive globali”. Alla recente conferenza G20 delle potenze economiche mondiali, la direttrice del Fondo Monetario Internazionale Kristalina Georgieva (a dx nella foto) ha preventivato una perdita del 0,1% sulla crescita globale nel 2020. Un danno ulteriore è quello derivante da una diminuzione dei volumi di turisti, che in tutti i paesi coinvolti rischia di danneggiare i profitti degli operatori turistici più o meno grandi, a partire da ristoratori, commercianti, sino a giungere alle compagnie aeree. Vari stati hanno infatti sconsigliato Cina, Corea del Sud e Italia quali mete turistiche ai propri cittadini. I rispettivi governi hanno però già annunciato e stanno lavorando su misure di sostegno economico al fine di evitare e mitigare l’instaurarsi di circoli economici negativi.

Molto dipenderà in ogni caso dalla durata delle misure di contenimento e quarantena, spiega la nota d’analisi di Intesa San Paolo, così come dall’entità del contagio globale e quindi dalla fiducia dei consumatori, degli investitori e dei governi internazionali rispetto all’efficacia delle politiche preventive e mitigatorie messe in campo dagli stati coinvolti.

Epidemia e “infodemia”

Tedros Adhanom Ghebreyesu

Infine, da non sottovalutare, come ribadito alla “Munich Security Conference” il 15 febbraio dal direttore generale dell’Oms, è la cosiddetta infodemia, (dall’inglese infodemics), che ha avvertito allarmato “circolano più velocemente e facilmente rispetto ad un virus, e sono almeno altrettanto pericolose”. Stavolta il virus sarebbe quello parallelo delle “notizie false” o mistificate e strumentalizzate, che rischierebbero di generare isterie ingiustificate, psicosi razziste e comportamenti sociali carichi di stigma rispetto ad alcune categorie di persone. Nel caso del Covid-19 al livello internazionale le minoranze cinesi nel mondo sono state oggetto di episodi verbalmente violenti ed economicamente discriminatori, così come a livello interno alla Cina, gli abitanti della provincia di Hubei sono stati talvolta discriminati dalle provincie vicine, come documentano Karen Hao e Tanya Basu sulla rivista online del Massachusetts Institut of Technology.

Proprio per evitare di alimentare il panico e l’isteria l’Oms ha invitato sia mass media che i governi alla responsabilità spiegano le due esperte di social media. Le parole d’ordine del discorso di Tedros Ashanom a Monaco sono infatti state: fatti accertati per combattere la paura, razionalità per evitare incertezza, solidarietà al fine di prevenire lo stigma e la politicizzazione dell’emergenza. Sempre dalle esperte del MIT viene spiegato che non solo l’Oms ha collaborato con Facebook, Google, Twitter e TikTok, i principali social media internazionali, per evitare la diffusione di fake news: ma questi ultimi hanno a loro volta svolto un ruolo politico pressorio fondamentale, nello spingere il governo di Pechino, storicamente non trasparente e aperto a proposito delle proprie crisi interne di carattere sanitario, come nel caso della Sars del 2002/2003, a rivelare in maniera più tempestiva e dettagliata alla comunità internazionale ciò che stava accadendo all’interno dei propri confini.

Evitare gli allarmismi

Ad oggi a situazione circa l’emergenza sanitaria internazionale di Covid-19 non sembra dunque fuori controllo. L’Oms si è detta preoccupata, ma non incline a considerare la situazione come una pandemia. L’importante ha spiegato, è non abbassare la guardia, favorire la cooperazione internazionale ed il rispetto delle seguenti tre priorità: garantire condizioni di lavoro ottimali agli operatori sanitari; tutelare le categorie più a rischio di subire effetti severi in caso di infezione (soggetti immunodepressi e anziani); contenere la diffusione del coronavirus, evitandone l’arrivo in paesi in via di sviluppo aventi sistemi sanitari nazionali già di per se deboli deboli. La mortalità del Covid-19 risulta infatti del 2%-4% nell’epicentro dell’epidemia nella città di Wuhan, mentre si attesta solo allo 0,7% all’esterno della stessa. Le vittime sono per lo più persone molto anziane o già debilitate prima di aver contratto il Covid-19. E’ stato poi riscontrato che nell’arco di 2/3 settimane, se sottoposti ad adeguate cure, gli infetti riescono a riprendersi.

Ad ora quindi il problema principale si configura quindi quello di tenere sotto controllo i contagiati ma soprattutto evitare psicosi collettive, risposte governative eccessive e racconti giornalistici allarmistici, privi di corrispondenza con quella che è la gravità reale. Il Covid-19, ha infatti un potenziale pandemico, ma fino ad ora è soprattutto una nuova malattia emergente, accompagnata da una montante infodemia di isteria di massa, eccessiva ma imprecisa informazione e allarmistici racconti giornalistici.

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