Il piano della discordia

Il piano di annessione ipotizzato dal governo Netanyahu–Gantz ha sollevato reazioni internazionali mentre anche la Corte Suprema israeliana giudica illegittimi gli insediamenti ebraici nella West Bank

Il 1 luglio potrebbe essere una data determinante per Israele e Palestina. Pare infatti che il governo Netanyahu–Gantz abbia idea di presentare al parlamento israeliano una propria proposta per l’annessione delle terre palestinesi, da approvare per perseguire il disegno della ‘Grande Israele’. Il piano prevederebbe l’annessione di tre degli insediamenti ebraici più datati: Ma’ale Adumim, Gush Etzion e Ariel, escludendo la Valle del Giordano per non alimentare le tensioni con la confinante Giordania. Niente di definitivo comunque, visto che ministro degli Esteri, Gabi Ashkenazi, esponente del partito Blu Bianco, nel corso di una conferenza stampa con l’omologo tedesco, Heiko Maas, ha precisato che “siamo all’inizio delle discussioni, non è stata presa alcuna decisione”.

Il piano di annessione in questione avrebbe un minore impatto, visto che nel progetto presentato da Donald Trump nel gennaio 2020, Israele potrebbe estendere la propria sovranità su circa 110 insediamenti ebraici della Cisgiordania e sulla valle del Giordano, ovvero su circa il 30 per cento della Cisgiordania, a patto che avvii negoziati con l’Autorità Nazionale Palestinese per la costituzione di uno Stato palestinese che includerebbe Gaza, un corridoio terrestre e alcune delle terre desertiche al confine di Israele con l’Egitto. Secondo Susie Becher, caporedattrice del Palestine-Israel Journal che fa parte del Policy Working Group, sebbene nel piano “Peace to prosperity” a cura dell’amministrazione Trump abbondino i riferimenti allo “Stato di Palestina”, l’introduzione chiarisce che i poteri sovrani del cosiddetto Stato saranno limitati in tutte le aree che interessano la sicurezza di Israele e in tal senso si tratta sostanzialmente di una proposta di autonomia e non della creazione di uno Stato vero e proprio.

Il piano rivisto, fonte Assopacepalestina

Intanto è arrivata una sentenza importante della Corte Suprema dello Stato ebraico, che ha annullato come “incostituzionale” la legge del 2017 che avrebbe legalizzato gli insediamenti ebraici in West Bank costruiti su terra privata palestinese. La Corte Suprema, con 8 voti a favore e un solo contrario, ha stabilito che la legge, che riguarda circa 4mila abitazioni costruite dai coloni, “viola i diritti di proprietà e di uguaglianza dei palestinesi, mentre privilegia gli interessi dei coloni israeliani sui residenti palestinesi”. La legge quindi non “fornisce sufficiente rilievo” allo status dei “palestinesi come residenti protetti in un’area sotto occupazione militare”. La norma aveva l’obiettivo di rendere legali le case costruite in insediamenti ebraici su terra privata palestinese erette “in buona fede” o che avevano il sostegno del governo israeliano o i cui proprietari avevano ricevuto il 125% di compensazione finanziaria per la terra. In questi anni, la Corte ha più volte ordinato la demolizione di case costruite in avamposti ebraici su terra privata palestinese. Il partito centrista Blu Bianco di Benny Gantz  ha detto che ”la decisione della Corte sarà rispettata”, ma che comunque il piano di annessione va avanti.

Il piano ha provocato anche un fatto insolito per gli ultimi anni, ovvero dure proteste interne: migliaia di israeliani hanno partecipato il 7 giugno a una manifestazione contro l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi nella Piazza Rabin di Tel Aviv, durante la quale la polizia ha arrestato 12 persone, tra cui il fotografo del quotidiano Haaretz. Il piano israeliano di annessione sta provocando reazioni di dissenso in molti Stati. Il ministro tedesco Heiko Maas, ha manifestato il sentimento di “grave preoccupazione” del governo di Berlino riguardo al piano di annessioni in Cisgiordania. “In quanto amici di Israele, siamo molto preoccupati per l’annessione, che non si concilia con il diritto internazionale. – ha detto – Noi continuano a sostenere la soluzione dei due Stati. Occorre una spinta creativa per far rivivere le trattative”.

Oltre alla Germania, avevano già espresso pareri discordanti anche la Giordania, l’Arabia Saudita, il Qatar, la Turchia e  la Russia, che tramite l’inviato del Cremlino per il Medio Oriente, Mikhail Bogdanov, ha fatto sapere che il piano di annessione ucciderà la soluzione dei due Stati e rischia di provocare una nuova escalation di violenza. Inoltre l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell aveva dichiarato: “Non riconosceremo l’annessione delle colonie”.

Altri Stati che hanno espresso la loro opposizione ai propositi israeliani sono Svezia, Lussemburgo, Irlanda, Spagna e Belgio e la Francia sta conducendo una campagna volta a dissuadere Israele minacciando ‘azioni punitive‘. “Consigliamo vivamente Israele di non assumere decisioni unilaterali che possano condurre all’annessione di qualsiasi territorio palestinese: sarebbe contrario al diritto internazionale“ queste le parole di Marc Pecteen, ambasciatore del Belgio, supportate dai rappresentanti di Francia, Germania, Polonia ed Estonia. Anche i membri europei del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si sono riuniti in videoconferenza e, in un messaggio, hanno esortato il nuovo esecutivo israeliano a rispettare i confini tracciati dopo la guerra del 1967 e a riprendere i negoziati per attuare la “soluzione dei due Stati”.

Ovviamente non si è fatta attendere la reazione palestinese. Il primo ministro Mohammed Shtayyeh ha dichiarato che, in caso di annessione unilaterale, i palestinesi avvieranno passi relativi alla proclamazione dello Stato di Palestina entro i confini del 1967, con Gerusalemme capitale. “Chiederemo il riconoscimento internazionale, il mondo scelga tra diritto internazionale e annessione”. “L’annessione è una minaccia esistenziale, una violazione seria degli accordi, la rottura totale del diritto internazionale, una sfida alla stabilità. Significa la distruzione della prospettiva di uno Stato palestinese. Se l’accettassimo saremmo un mucchio di traditori”.

L’Anp, nei giorni scorsi, ha sottoposto a tre membri del Quartetto per il Medio Oriente, Russia, Usa e Ue una propria contro-proposta al Piano Trump per uno Stato “in grado di sostenersi”, entro le linee del 1967, con Gerusalemme per capitale. Shttayyeh ha spiegato che la controproposta dell’Anp delinea la posizione palestinese su quattro punti fondamentali: i confini, i profughi, Gerusalemme ed uno Stato palestinese indipendente in grado di sostenersi. “Abbiamo proposto – ha precisato il premier  – che lo Stato palestinese indipendente e sovrano sia smilitarizzato”. I palestinesi, ha aggiunto, accettano aggiustamenti minori dei confini con Israele “con scambi di territori che siano esattamente eguali nelle loro dimensioni, nel loro volume e nel loro valore”.

di Red/Al.Pi.

*In copertina ‘montage of Benjamin Netanyahu and Benny Gantz’ from Wikimedia Commons

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