Ucraina. Falsi amici e occasioni perse

 

di Giovanni Scotto e Renata Yusupova

 

Il conflitto armato nell’est dell’Ucraina nella prima metà del 2014 ha presentato diverse possibilità di apertura e di tregua. Sfortunatamente, la politica degli attori più importanti non ha voluto o saputo cogliere le opportunità negoziali. USA e UE, dopo aver sostenuto le proteste di “Euromaidan”, hanno tollerato la strategia di escalation militare del nuovo presidente Poroshenko, eletto a maggio. La Russia ha annesso la Crimea in febbraio e ha responsabilità nel rafforzamento militare dei filo-russi in Ucraina orientale. Questi ultimi hanno inflitto perdite notevoli all’esercito di Kiev, e godono del sostegno almeno di una parte degli abitanti.

Nel corso dei mesi vi sono stati diversi tentativi di mediazione. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) ha inviato a marzo una missione di osservatori civili che ha lavorato in condizioni difficili: nella primavera alcuni osservatori sono stati tenuti in fermo per diversi giorni dai ribelli.

Ad aprile, USA, UE , Russia e Ucraina si sono riuniti a Ginevra, affermando di voler “de-escalare” la crisi. Il documento di una pagina sottoscritto in quell’occasione, però, non è stato tradotto in passi concreti. Il 20 giugno, dopo un’offensiva militare, il governo ucraino ha dichiarato giugno un cessate il fuoco, ma gli scontri armati sono ripresi dopo pochi giorni.

Successivamente l’iniziativa è passata al “Gruppo di contatto trilaterale” (OSCE, Russia, Ucraina) che ha negoziato a settembre a Minsk un nuovo cessate il fuoco e un memorandum di applicazione (19 settembre), anche con il coinvolgimento dei ribelli pro-russi. Il memorandum prevede la fine delle azioni armate, la creazione di una zona smilitarizzata di 30 km, il ritiro di mercenari e soldati stranieri, e il monitoraggio dell’accordo da parte dell’OSCE. Il memorandum ha iniziato a essere implementato nel corso di settembre, ma la tregua ha subito continue violazioni, apparentemente da entrambe le parti, anche con l’uccisione di un operatore della Croce Rossa internazionale.

Le autorità della “Repubblica Popolare di Donetsk” hanno dichiarato di permettere il libero accesso alle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, impegnate a dare aiuto a sfollati e senzatetto, nell’imminenza dell’inverno.

Alla fine di settembre si è anche giunti a un accordo a tre tra Russia, Ucraina e Unione Europea riguardo alle prossime forniture di gas dalla Russia.

Non solo in Russia e Ucraina, ma anche nell’opinione pubblica internazionale, la guerra ha portato a una polarizzazione delle percezioni: da un lato il governo filofascista di Kiev, dall’altro l’imperialismo e l’inaffidabilità di Mosca. Solo lentamente sono emerse voci dissenzienti: ad agosto l’imprenditore Richard Branson ed altre personalità del mondo economico hanno chiesto una soluzione pacifica del conflitto. A settembre manifestazioni contro la guerra si sono tenute a Mosca e in altre città russe. L’Unione Europea potrebbe decidere di giocare un ruolo costruttivo nella soluzione della crisi.

Dal punto di vista geopolitico, una soluzione per uscire dalla guerra è stata indicata da John Mersheimer in Foreign Affairs: un’Ucraina che stia a metà tra UE e Russia, come l’Austria al tempo dei due blocchi. Oggi né i contendenti all’interno del Paese, né i loro potenti alleati sembrano intenzionati a percorrere questa strada: i cittadini dell’Ucraina hanno molti falsi amici.

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