Etiopia, condanna per un post su Facebook

di Andrea Tomasi

In Etiopia, l’oppositore Yonathan Tesfaye è stato condannato a sei anni e mezzo di carcere per una serie di post su Facebook. Tesfaye, portavoce del Bleu Party, era stato arrestato nel dicembre 2015 dopo la pubblicazione sul social network di una serie di testi a sostegno delle proteste di quell’anno e di quello successivo da parte delle popolazioni Oromo e Amhara. Il suo partito ha annunciato ricorso ma intanto la pena è esecutiva.

La Corte ha definito i suoi commenti pubblici a sostegno dei manifestanti «ragione sufficiente» per condannarlo per complicità con l’Oromo liberation front (Olf), movimento armato e sostenuto dal nemico eritreo, accusato dal regime di aver foraggiato i disordini. Il giorno prima anche un giornalista, Getachew Shiferaw, è stato condannato per incitamento al terrorismo per ragioni analoghe.

«Tesfaye è stato arrestato nel dicembre 2015 durante un’ondata di proteste anti-governative nella regione di Oromia che ha lasciato 600 cadaveri in strada. La sua colpa – si legge su Left – è aver scritto che, per affrontarle, le autorità aveva usato “la forza contro la gente anziché usare discussioni pacifiche”. Amnesty International ha parlato di quelle accuse come “gonfiate”. Non è la prima volta che l’Etiopia viene criticata per usare le leggi anti-terrorismo per colpire le opposizioni. Lo stesso leader dell’opposizione che ha contestato lo stato di emergenza introdotto dal governo durante le proteste, è stato arrestato. Lo stato d’emergenza, a oggi, ha determinato l’arresto di 25mila persone ma le cronache riportano una tensione crescente nella regione sud del Paese».

Della violenza e della crudeltà del regime etiope erano state costrette ad occuparsi anche le cronache sportive. Una denuncia di quanto stava e sta accadendo in quel Paese africano era stata fatta dal maratoneta Feysa Lilesa. Nel 2016, dopo avere esultato per la medaglia d’argento alle Olimpiadi Rio, l’uomo aveva incrociato le braccia al momento dell’arrivo al traguardo: un gesto di protesta nei confronti del governo, colpevole di bersagliare la popolazione Oromo. «Ci ammazzano, ci mettono in prigione. Le persone spariscono: molti membri della mia famiglia non ci sono più, compreso mio padre» aveva dichiarato anche ai microfoni di sportmediaset.it. Nessuno in Etiopia ha visto quelle immagini, nessuno ha sentito le sue parole perché quello spezzone di audio-video è stato censurato.

In quei giorni, in 200 città, centinaia di migliaia di persone stavano marciando pacificamente per protestare contro il piano governativo che prevedeva l’espropriazione dei terreni agricoli degli Oromo con lo scopo di espandere la città di Addis Abeba. «Creare delle nuove aree edificabili vuol dire fare delle speculazioni edilizie ed incassare milioni di dollari provenienti dai ricchi costruttori edili dell’occidente industrializzato – scrive Running Experience – . Questa è la punta dell’iceberg. La sua base, però, ha delle radici che risalgono all’aprile 2014, mese in cui iniziarono le prime civilissime manifestazione di protesta degli Oromo contro la loro emarginazione sistematica e la loro persecuzione. Se qualcuno pensa che l’etnia Oromo, dalla quale discende anche il mito Abebe Bikila, sia una minoranza, allora si sbaglia di molto. Gli Oromo, infatti, rappresentano il 32% della popolazione dell’Etiopia e sono la maggioranza. Il problema è che l’establishment etiope, guidato da decenni dai rappresentanti del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope, li considera come dei sovversivi e dei secessionisti».

A Rio il suo gesto aveva destato l’attenzione del pubblico occidentale. Il rischio è che poi tutto finisca nel dimenticatoio o negli archivi televisivi, pronti all’uso per l’amarcord. E così Lilesa, in una gara minore (e comunque quasi tutto è minore rispetto alle Olimpiadi) ha incrociato di nuovo i polsi sopra la testa. È successo il 15 gennaio scorso alla mezza maratona di Houston. «Nonostante l’appello del mese agosto, la comunità internazionale non ha fatto nulla per richiamare all’ordine il governo presieduto dal primo ministro Haile Mariam Desalegn. Negli ultimi mesi, in Etiopia, si è registrata un’escalation di violenza (…) Le autorità di Addis Abeba hanno proclamato lo stato di emergenza, attribuendo all’esercito e alla polizia dei poteri speciali, ed hanno bloccato e limitato l’uso di internet e dei social network».

 

 

 

 

 

https://left.it/2017/05/17/etiopia-per-un-post-di-protesta-su-facebook-un-leader-dellopposizione-rischia-20-anni/

 

http://www.runningexperience.eu/feyisa-lilesa-il-gesto-della-x-e-la-lotta-per-il-popolo-oromo/

 

foto tratta da http://ethiopiazare.com/sports/5359-feyisa-lilesa-finished-2nd-at-the-houston-half-marathon

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