Italia-Niger. I rischi di una missione confusa

di Emanuele Giordana

Il 17 gennaio i parlamentari italiani dell’ultima legislatura che si è appena conclusa sono chiamati a tornare in aula per la discussione sulla «relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione in merito alla partecipazione dell’Italia a missioni internazionali e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione».

Per dirla con parole più semplici, il parlamento deve dare il via libera alla missione militare italiana in Niger che andrà poi alla firma del capo dello Stato. Su questa ennesima impresa militare dell’Italia c’è però un silenzio preoccupante, sia da parte del governo sia da parte delle opposizioni: è una decisione su cui abbiamo saputo pochissimo e sulla quale pochissimo si è discusso e ragionato.

I militari italiani vanno in Niger a fermare i migranti o in quella regione ci sono interessi occidentali alla cui difesa siamo chiamati a concorrere? Consolideranno il governo nigerino e combatteranno il terrorismo, come ha fatto intendere Gentiloni? E come, se si tratta di una missione “non combat”, com’è stata definita? Sarà davvero tale o c’è il rischio che si trasformi in corso d’opera o, ancora, in qualche modo l’eventualità è già stata prevista? Questa missione rientra in quelle che sono state chiamate “di pace” o apre la strada a un altro tipo di intervento col quale in futuro dovremo fare i conti?

Secondo Raffaele Masto*, un giornalista che conosce bene l’Africa, «…se fosse stato qualche anno fa ci sarebbero già state manifestazioni, politici che avrebbero gridato alla violazione della costituzione, dibattiti in Tv e polemiche sui giornali” e invece “…nulla di tutto questo. Eppure il mandato e le regole di ingaggio con il quale l’Italia invierà circa cinquecento militari nel paese africano sono molto più stringenti di quelle con il quale abbiamo inviato soldati in altre parti del mondo».

Su questa missione ancora dai contorni oscuri e che appare digerita ancor prima che si sia messa in moto (salvo che il 17 il dibattito non ci riservi qualche sorpresa), Masto ci restituisce qualche lume:

«I militari italiani – sostiene l’autore di “Buongiono Africa” – andranno al seguito dei francesi che sono in Niger per difendere i loro interessi strategici, cioè lotta al terrorismo e difesa delle mega installazioni per l’estrazione dell’uranio nel grande deserto del Nord da parte della multinazionale francese Areva. La Francia può, con ragione, parlare di interessi strategici. La politica energetica di Parigi si fonda, a differenza della nostra, sul nucleare e l’uranio nigerino è fondamentale per far funzionare le oltre cinquanta centrali nucleari.

Gli interessi strategici per l’Italia invece sono i migranti. Vogliamo abbassare i confini europei e chiudere quella parte di rotta Mediterranea che passa dal Niger, cosa che i francesi fino ad ora non hanno mai fatto. Anzi, diversi testimoni parlavano di frotte di migranti che passavano tranquillamente sotto gli occhi annoiati dei militari francesi stanziati in quel grande deserto. Magari chiuderemo la rotta che passa da Agadez ma per esperienza si sa che chiusa una rotta se ne apre un’altra, di solito più costosa, più lunga e più pericolosa. Come dimostrano le partenze riprese dalla Libia in questi giorni, nonostante il muro virtuale eretto dagli italiani nel Mediterraneo, davanti alle coste libiche. Tutto questo per dire che questa volta la missione italiana nel deserto è molto più impegnativa di altre.

In quel deserto – avverte Masto in conclusione – opera un famigerato terrorista che si chiama Moktar Belmoktar, aderente al cartello di Al Qaeda e autore degli attentati a Bamako, ad Abidjan e a Ouagadougou. Belmoktar odia soprattutti i francesi e colpisce i loro obiettivi nel mondo. In quel deserto controlla tutti i traffici: di sigarette, di armi, di droga, di migranti. È soprannominato “mister marlboro” e da ora potrebbe includere nei suoi obiettivi anche gli italiani».

Non è dunque una missione priva di rischi e che resta invece dai confini e dagli obiettivi piuttosto fumosi. Gli italiani potrebbero trovarsi anzi in una situazione di aperto conflitto o a dover intervenire in appoggio ad altre truppe presenti sul terreno ma senza avere il controllo della catena di comando. Elementi che forse meriterebbero – e avrebbe meritato – una riflessione più lunga innanzi tutto del parlamento. Non una rapida lettura in chiusura di legislatura, anzi nei tempi supplementari come se si trattasse di un puro fatto amministrativo.

 

* Collaboratore da tempo dell’ Atlante, Raffaele Masto lavora a Radio Popolare e da anni segue il continente africano su cui ha scritto diversi saggi tra cui l’ultimo uscito è “Califfato nero” (Laterza). Il suo blog si chiama Buongiorno Africa  https://www.buongiornoafrica.it/

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