Ancora violenza in Kashmir

A pagare col sangue sono gli studenti scesi in piazza per protestare contro le recenti uccisioni

Ancora violenza in Kashmir. In questi giorni si sono registrati nuovi scontri fra gli studenti e la polizia indiana, nelle strade di Srinagar. Le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni contro i dimostranti. Ma contro cosa stavano protestando i giovani? Contro l’uccisione di 20 persone, inclusi dei militanti separatisti e civili.

Studenti del Bemina Degree College, dell’Amar Singh College e del Women’s College di Srinagar sono scesi in piazza ed hanno affrontato gli uomini in divisa.

Dopo le uccisioni del primo aprile, la tensione si è alzata ulteriormente con manifestazioni in varie parti del territorio. Più di tre dozzine di persone sono rimaste ferite negli scontri. La maggior parte dei fighters ammazzati è originaria del sud del Kashmir. Così, dopo l’appello dei leader a manifestare, tutti i negozi e le scuole sono stati chiusi.

«È stato un tentativo del governo centrale per mettere fine alla protesta degli studenti, ma il 5 aprile i ragazzi sono ritornati per strada con pietre e bandiere dopo una settimana di tensioni. Le dimostrazioni contro l’esercito indiano infatti dopo il 1 aprile sono state di massa e diffuse nel territorio, decine di persone sono rimaste ferite. Da quando il comandante dei ribelli Burhan Wani è stato ucciso nel 2016, 200 separatisti sono morti nelle operazioni dei militari indiani nella polveriera del Kashmir del sud» scrive Left.

«I ribelli separatisti hanno cominciato a combattere contro il potere indiano nel 1989, per l’indipendenza della loro terra. Sia il Pakistan che l’India rivendicano il territorio himalayano».

Questi sono gli ultimi episodi di uno scontro che si replica da tempo. Infatti già lo scorso anno si è assistito ad una escalation: il 2017 ha visto intensificarsi le proteste di studenti nella capitale Srinagar e in altre città della valle (cioè del Jammu e Kashmir, sotto sovranità indiana).

Protagonisti sono soprattutto giovanissimi, le generazioni cresciute nel conflitto, armati per lo più di pietre. La polizia ha quasi sempre risposto con brutalità.

Nel Kashmir ci sono 12.500.000 abitanti, spalmati su 222.236 chilometri quadrati. Le religioni sono quella musulmana (nel Kashmir), l’hinduismo (prevalente nel Jammu) e il buddismo (in Ladakh).

Per tutto l’inverno 2017-2018 parecchie centinaia di persone sul lato indiano della Linea di Controllo sono sfollate dai loro villaggi. Anche l’infiltrazione di guerriglieri “jihadisti” dal territorio sotto controllo pachistano a quello governato dall’India è ripresa negli ultimi tre anni.

Le parti in causa sono tre: India, il Pakistan, e gli abitanti del Kashmir. Per India e Pakistan si
tratta di una contesa territoriale: per il Kashmir hanno combattuto due guerre dichiarate (nel 1948-49 e nel 1965) e una non dichiarata (nell’estate del 1999), oltre a una lunga «guerra per procura»
condotta da guerriglieri infiltrati dal territorio sotto controllo pachistano, detto Azad («libero»)
Kashmir, a quello sotto controllo indiano.

Non è un mistero che questi guerriglieri siano sostenuti, armati e finanziati dai servizi di intelligence del Pakistan, anche se Islamabad dichiara di dare ai musulmani del Kashmir solo «sostegno morale e politico». Dal punto di vista del Pakistan, in Kashmir una potenza occupante (l'India) nega libertà e autodeterminazione alla popolazione musulmana occupata, che si rivolgerebbe “naturalmente” al Pakistan per protezione.

Dal punto di vista dell’India invece una potenza straniera (il Pakistan) foraggia una ribellione e
infiltra terroristi armati per destabilizzare il territorio.

Le forze nazionaliste del Kashmir restano divise su questioni strategiche. Per alcuni
«autodeterminazione» significa optare per l’unione al Pakistan; per altri significa invece l’opzione
dell’indipendenza, rifiutata però sia da New Delhi che da Islamabad. Dopo vent’anni di conflitto,
gran parte delle forze nazionaliste opterebbero più realisticamente per un regime di autonomia nel
quadro della costituzione indiana.

La prima rivendicazione comune a tutti i kashmiri però è revocare le leggi speciali che garantiscono impunità alle forze armate (Armed Forces Special Power Act, o Afspa, e Public Safety Act, Psa), mettere fine alla militarizzazione della vita quotidiana, e fare luce su esecuzioni extragiudiziarie, torture, stupri.

 

 

 

https://left.it/2018/04/06/ancora-scontri-tra-studenti-e-polizia-indiana-per-lindipendenza-del-kashmir/

 

https://www.aljazeera.com/news/2018/04/kashmir-students-clash-indian-police-srinagar-180405161305095.html

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