Acqua e petrolio: le proteste scuotono l’Iran

La mancanza di acqua cronica e una grave crisi economica portano in piazza gli iraniani: nelle strade scioperi, manifestazioni, slogan contro il governo

di Alice Pistolesi

Mancanza di acqua cronica e una grave crisi economica scuotono gli animi degli iraniani, che da giorni stanno protestando in varie piazze del Paese. Minatori, camionisti, muratori, commercianti  e altre categorie di lavoratori stanno realizzando scioperi per manifestare la loro contrarietà alla gestione governativa delle risorse.

La mancanza di acqua attanaglia il Paese e le città di Khorramshahr e Abadan, al confine con l’Iraq, sono tra le più colpite. Gli effetti infine del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano peggiorano la situazione.

Khorramshahr, in farsi significa “città felice”, mentre Abadan si può tradurre come “luogo di acqua”. Effettivamente le due città, vicine al passaggio dei fiumi Tigri ed Eufrate, sono state a lungo zone fertili. Con il cambiamento climatico, la costruzione di dighe e l’abbandono dei territori coltivati a causa delle guerre, sono diventate aree semi desertiche. La mancanza di acqua è arrivata a livelli drammatici, tanto che il Paese si sta attrezzando per fare arrivare cisterne e autobotti nelle due città.

Khorramshahr è inoltre una città simbolo per l’Iran: durante la guerra con l’Iraq era stata invasa e per essere nuovamente annessa al territorio iraniano è stata teatro di una resistenza epocale. E proprio Khorramshahr e Abadan si sono svolte le proteste più gravi, che secondo varie fonti hanno provocato una vittima.

Nei  video, girati da alcuni manifestanti e arrivati alla redazione dell’Atlante delle guerre, si percepisce quali sono i problemi più sentiti dalla gente.

“Chi lo dice che è colpa dell’America? Il nostro nemico è proprio qui” e “Repubblica islamica, vogliamo l’acqua” sono i due cori urlati dai manifestanti nei video sottostanti e che racchiudono il sentimento di coloro che si trovano a protestare.

Tra le molte proteste è da rilevare anche quella dei bazarì, ovvero i mercanti dei bazar, che la settimana scorsa hanno chiuso i battenti del Gran Bazar di Teheran. Lo sciopero dei bazarì desta grande preoccupazione per il governo Rouhani per un precedente storico: quando i mercati si schierarono con Khomeini nel 1979 ne decretarono la vittoria sullo Scià Reza Pahlavi.

Petrolio, il grande responsabile della crisi

Un segno evidente della crisi economica è il calo della moneta iraniana: il rial ha perso il 40% del suo valore dal mese scorso, ovvero da quando il presidente Donald Trump si è ritirato dall’accordo nucleare iraniano del 2015.

Le sanzioni  includono il blocco della vendita internazionale del petrolio iraniano. Washington chiede infatti che si metta fine alle importazioni di greggio dall’Iran entro il 4 novembre. Per il Paese questo sarebbe un colpo mortale, visto che  le vendite di petrolio generano il 60% del reddito. In tutto questo rimane da capire quale sarà la mossa dell’Unione Europea, che è ancora parte dell’accordo del 2015.

Nell’immagine di copertina un fotogramma tratto dai video giunti in redazione

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