Che più sporco non si può

di Ilario Pedrini

Fare i milioni con il petrolio. Attività legittima e redditizia. Succede però che alcune grandi compagnie europee ed americane piazzino gasolio di pessima qualità in Paesi africani come Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio. Si tratta di diesel la cui vendita in Europa sarebbe fuori legge. Secondo un rapporto pubblicato dall’organizzazione non governativa Public Eye, diffuso dall’International Business Times, questi prodotti avrebbero alte concentrazioni di zolfo  «la cui combustione produce anidride solforosa, un gas altamente inquinante concausa di malattie respiratorie anche gravi, asma e bronchiti. Se in Europa la concentrazione di zolfo nel diesel non può superare le 10 parti per milione (10ppm) in alcuni paesi africani le norme fissano i limiti a 5.000ppm”. In pratica il rivenditore europeo può  «tagliare» le miscele diesel con sostanze sulfuree. In questo modo abbatte i costi di produzione e vende al dettaglio carburante pessimo e altamente inquinante: un affare da miliardi di dollari. «Tali traffici di carburanti diesel non sono esattamente un reato: prima dell’esportazione la miscela diesel rientra perfettamente negli standard del settore e delle normative dei paesi in cui viene esportato il carburante». Si tratta insomma della possibilità di liberarsi di combustibile sporco a cui si aggiunge la disponibilità di discariche a basso costo. Una pratica che il direttore del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) Erik Solheim ha definito «inaccettabile». Ma non è tutto. Il governo nigeriano ha denunciato 12 compagnie petrolifere accusandole di falsificare i dati sulla produzione di greggio: dati sottodimensionati riguardanti il periodo 2011-2014. Secondo il quotidiano nigeriano The Vanguard «avrebbero dichiarato un numero inferiore di barili estratti per un totale di 12,7 miliardi di dollari di mancate royalties». Una denuncia che era stata preceduta da quella delle Nazioni Unite, che hanno evidenziato «un divario da quasi 70 miliardi di dollari tra i dati di esportazione petrolifera nigeriani e quelli di importazione americani nel periodo tra il 1996 e il 2014. Anche le recenti indagini del governo di Abuja evidenzierebbero un notevole divario tra i dati forniti dalle compagnie petrolifere e quelli delle petroliere utilizzate per il trasporto all’estero degli idrocarburi». Fra i giganti messi sotto accusa c’è anche l’Eni che nel primo semestre 2016 ha registrato un rallentamento delle attività nel continente nero. Nell’Africa subsahariana la compagnia estrae circa 346.000 barili di greggio al giorno. Nel novembre 2015 Claudio Descalzi, intervistato da Jeune Afrique, dichiarò che «l’Africa rappresenta la nostra produzione principale, con 1 milione di barili al giorno estratti e quasi 3 milioni di barili gestiti per conto di altri partner e questo ci rende la prima compagnia del continente». Una compagnia che sembra non volersi fermare nello sfruttamento dell’oro nero africano: negli ultimi anni  «Eni ha scoperto giacimenti in-shore in Angola, Ghana, Gabon e Congo-Brazzaville e più di recente ha stretto accordi per lo sfruttamento off-shore di giacimenti di gas importanti in Egitto e Mozambico. Alla fine del 2015 Eni era presente in Algeria, Angola, Congo, Egitto, Gabon, Ghana, Costa d’Avorio, Kenya, Liberia, Libia, Mozambico, Nigeria, Sud Africa e Tunisia». Eni ha una serie di grattacapo anche in Congo. Nel dossier  «Ecologia Integrale» la Caritas italiana già nel 2015 parlava di inquinamento delle falde acquifere: alla gente era stato sostanzialmente il diritto di bere, cioè di vivere. «La commissione Giustizia e Pace di Pointe -Noire – si legge nel dossier (pag. 11) – ha commissionato nel 2009 uno studio scientifico su campioni di suolo prelevati dalla zona petrolifera di Mboukou, sede di estrazioni da parte della compagnia Eni Congo. I risultati delle analisi hanno rilevato una percentuale di acidità del suolo di gran lunga superiore alla media normale, con la conseguenza di una totale improduttività del terreno analizzato». Lo riporta Africa Europa che dà anche conto della smentita di Eni: la compagnia petrolifera ha bollato come “falsità” l’accusa di essere responsabile della contaminazione dei terreni e ha evidenziato un passato di impegni per uno sviluppo sostenibile in Congo.  «A preoccupare Brice Mackosso è ora il progetto per lo sfruttamento delle sabbie bituminose a Tchikatanga e Makola, due aree che insieme coprono 1.790 km quadrati. Si tratta del primo progetto di questo genere in Africa».

 

http://it.ibtimes.com/petrolio-e-africa-le-big-companies-nuovamente-nel-mirino-della-giustizia-1466944

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Dossier Caritas accusa ENI: in Congo devastazioni ambientali. La replica: Falsità

Foto tratta da https://emergingequity.org/2015/08/23/oil-price-spillover-hits-africa-hard/

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