Irlanda del Nord

L’anno non ha registrato particolari scontri violenti nelle strade. La battaglia si è combattuta tra le aule del Parlamento e i seggi: a fine estate 2022, l’Irlanda del Nord rimane ancora priva di un Governo funzionante. Nonostante il chiaro risultato delle elezioni del 5 maggio 2022, il secondo partito del Paese (il Dup, Partito Unionista Democratico) si è opposto alla creazione di un Esecutivo nella speranza di dare un chiaro segnale a Londra, secondo il Partito colpevole di non aver ancora trovato una soluzione al problema Brexit.

Oltre a porre fine a 30 anni di guerra civile, il Trattato di pace del Venerdì Santo detta le condizioni per la gestione politica del Paese: impone che l’Esecutivo sia cogestito dalle due fazioni del conflitto, i nazionalisti (perlopiù cattolici, a favore di una riunificazione dell’Irlanda) e i lealisti (ovvero filo-britannici e rappresentanti di norma della comunità protestante). Dopo aver sostenuto il Governo britannico nel 2019, proprio i lealisti affermano ora di sentirsi traditi da Londra e tengono politicamente in ostaggio il Parlamento di Stormont fino a che non sarà rinegoziato il Protocollo sull’Irlanda del Nord, che detta le nuove regole per la Regione a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Con la Brexit, infatti, il fragile equilibrio che aveva permesso all’Irlanda del Nord due decenni di pace e sviluppo è stato messo in discussione: l’Accordo del Venerdì Santo si basa in larga parte sull’apertura europea dei territori nazionali e dei mercati. Dal 2019, Londra e Bruxelles hanno dovuto trovare una più marcata frontiera: per non devastare l’economia nordirlandese, dipendente al 63% dagli scambi con l’Ue, il confine economico è stato posto nel Mare d’Irlanda. Ciò rende le sei Province nordirlandesi territorio britannico, ma ancora parte del Mercato Unico Europeo. Un accordo contestato, che ora il Regno Unito vuole “modificare unilateralmente”: Londra sta infrangendo volontariamente il Trattato con l’Ue a meno di due anni dalla sua firma. Westminster ha approvato due atti statutari con i quali si attribuisce il potere di ignorare l’Accordo e permettere scambi agevolati tra Nord Irlanda e madrepatria. La decisione fa infuriare Bruxelles: azioni legali sono già state intraprese, ma non si escludono ripercussioni economiche. La fiducia in Londra è ai minimi storici. E la sfiducia è anche nordirlandese: le elezioni del maggio 2022 hanno visto, per la prima volta nella storia del Paese, la vittoria del partito nazionalista Sinn Fein, storicamente legato alle milizie repubblicane dell’Ira. Per quasi cent’anni, il primo Ministro e la maggioranza parlamentare sono stati lealisti e filo-britannici. Il recente cambio di rotta potrebbe avere due chiavi di lettura. Da un lato, l’elettorato dell’isola d’Irlanda potrebbe essere pronto a ripensare l’unificazione, viste la vittoria di Sinn Fein anche in Eire nel 2020 e la sempre dichiarata volontà del Partito di riunificare l’Isola. Dall’altra, si potrebbe trattare di un una reazione alla Brexit e alla sua cattiva gestione da parte di Londra. O forse entrambe le cose: secondo uno studio congiunto delle università di Belfast, il 63% dei cittadini crede che, dopo la Brexit, sia solo questione di tempo prima che l’isola d’Irlanda torni unita. Se uno dei motti dell’Ira durante la guerriglia era “Verrà il nostro giorno” (Tiocfaidh ár lá), quel momento potrebbe andare avvicinandosi.