CANADA E PETROLIO - LA RESISTENZA VERDE DEI NATIVI AMERICANI

Il mosaico di chi dice no

Testi di Paola Rosà, foto e video di Antonio Senter.

Un’ottantina di chilometri di vallata fertile da allagare con una diga che alimenterà il fracking per l’estrazione del gas, migliaia di ettari di foreste intonse da sventrare per il passaggio di gasdotti, una costa vergine da trasformare in zona industriale con la costruzione di impianti di raffreddamento del gas e moli di attracco per navi cisterna per l’export attraverso l’Oceano Pacifico nonché tre nuovi oleodotti che faranno aumentare di oltre due milioni di barili al giorno l’estrazione di sabbie bituminose dell’Alberta. Benvenuti nel West canadese. Benvenuti nel Canada di Justin Trudeau.

Le interviste e le riprese sono state effettuate in Canada dal giugno all’ottobre 2016 dai due autori, che autofinanziandosi hanno percorso il tragitto dei previsti gasdotti dalla valle del Peace River all’Oceano Pacifico in British Columbia. Il progetto di documentazione della resistenza nativa proseguirà quest’anno, 2017, con altri quattro mesi di viaggio in Canada, per seguire le proteste contro il nuovo oleodotto Trans Mountain previsto dall’Alberta a Vancouver. Paola Rosà è giornalista professionista e traduttrice. Antonio Senter si occupa di design e riprese video. Insieme hanno realizzato diversi documentari girati in Canada e Stati Uniti.
Il sito: www.rosasenter.weebly.com

“Con l’elezione del nuovo primo ministro a fine 2015 – spiega Peter McCartney del Wilderness Committee con sede a Vancouver – in molti speravano che la questione energetica e quella ambientale venissero affrontate sul serio. Ma dopo che Trudeau ha concesso ulteriori permessi per la costruzione della diga nel luglio 2016, per poi a settembre approvare gli impianti della Petronas per il gas liquefatto e a novembre dare l’ok a due nuovi oleodotti per sabbie bituminose, per poi a febbraio di quest’anno gioire per l’accordo con Trump su un terzo oleodotto, la sorpresa e la delusione di molti suoi elettori hanno messo fine alla luna di miele. Per non parlare dei nativi, che hanno visto mancate tutte le promesse di riconciliazione e rispetto del diritto alla terra”.

La mappa dei progetti che incombono sulla British Columbia, provincia che si estende dalle Montagne Rocciose all’Oceano Pacifico, è un reticolo pensato per la commercializzazione di gas e petrolio verso i paesi asiatici alla ricerca di nuovi mercati dopo il crollo dei prezzi nel 2014 e la drastica riduzione delle esportazioni verso gli Stati Uniti, che grazie al fracking hanno aumentato la produzione interna. Dai pozzi del nordest e dalle distese di sabbie bituminose dell’Alberta gli idrocarburi andrebbero trasferiti sulla costa, a nord ai confini con l’Alaska con nuovi porti e infrastrutture tutte da costruire, a sud nella baia di Vancouver con un aumento del traffico di petroliere di circa sette volte. All’opposizione di ambientalisti e sindaci, alla contrarietà dello stesso governo provinciale che dopo le elezioni del maggio 2017 è formato da una coalizione di verdi e democratici, si unisce l’azione dei nativi, che anche con Trudeau, nonostante le promesse elettorali, si sono visti costretti a difendere i propri diritti, sia in tribunale sia con occupazioni e presidi sul territorio. Lo sa bene Yvonne Lattie, Chief Gwininitxw dei Gitxsan della zona di Hazelton lungo lo Skeena River.

La presa di coscienza dei First Nations canadesi, oppressi fino a vent’anni fa dalla politica di educazione forzata che prevedeva la reclusione dei bambini in collegi dove era impedito loro di parlare la lingua madre (politica per cui il Canada ha chiesto scusa soltanto nel 2008 istituendo una Commissione per la Verità e la Riconciliazione) è un processo graduale che probabilmente richiederà ancora qualche generazione. Ed è un processo che sembra passare dalla difesa dell’ambiente, dal ritorno alla terra e dalla riscoperta delle tradizioni legate al territorio.
Per questo i tanti gruppi locali che stanno osteggiando la costruzione della diga Site C e che si oppongono al passaggio dei gasdotti e che bloccano la distruzione di Lelu Island per salvaguardare i salmoni del Pacifico segnalano in realtà qualcosa di molto più grande. Qualcosa che, al di là delle singole sconfitte in tribunale o degli sgomberi ordinati dalla polizia, sembra inquietare i governi ad ogni livello, da quello provinciale a quello federale. “Questo nuovo saccheggio della terra a nostro svantaggio – argomenta Clarence Willson dei West Moberly First Nation – non è altro che una nuova forma di genocidio culturale”.

Una mappatura della resistenza indigena canadese è tuttavia destinata ad essere in continua evoluzione, con multinazionali e governi pronti ad accaparrarsi il consenso aumentando le compensazioni e ritoccando gli accordi con le comunità locali. Ed è soprattutto incompleta perché la British Columbia dei liberali, che Democracy Watch ha definito sul New York Times “il Far West delle donazioni private alla politica”, ha avuto sinora una politica molto favorevole alle industrie estrattive, che si tratti di legname, carbone, diamanti, oro, petrolio o gas. Mappare le concessioni in sospeso per nuovi pozzi, miniere, sversamenti e deviazioni di corsi d’acqua è praticamente impossibile in una provincia grande tre volte l’Italia e con meno di 5 milioni di abitanti, oltre metà dei quali vivono nella zona di Vancouver.

Nelle prossime 5 puntate di questo dossier si toccheranno alcuni snodi di questo mosaico di sviluppo industriale ed estrattivo, luoghi di opposizione e resistenza, di ricostruzione e riprogettazione del futuro. Perché, come hanno risposto gli occupanti del Rocky Mountain Fort nella Peace River Valley alle accuse dell’allora premier Christy Clark di essere “il popolo del no” (“people of no”), nativi e ambientalisti in questi casi si definiscono invece orgogliosamente insieme “il popolo del so” (“people of know”).

Per leggere la prima puntata clicca qui
Per leggere la seconda puntata clicca qui
Per leggere la terza puntata clicca qui
Per leggere la quarta puntata clicca qui
Per leggere la quinta puntata clicca qui
Per leggere la sesta puntata clicca qui