DOSSIER CANADA - LA RESISTENZA VERDE DEI NATIVI AMERICANI

In difesa della costa Ovest

Testi di Paola Rosà, foto e video di Antonio Senter.

Quando nel settembre 2016 la ministra federale dell’ambiente arrivò a Vancouver per annunciare l’approvazione del Pacific NorthWest LNG project lo sconcerto di scienziati, ambientalisti, nativi e attivisti sembrava aver ammutolito tutti. “Nessuno si aspettava un tradimento del genere dal governo Trudeau”, ci hanno detto in molti. Il via libera al mega progetto della Petronas – gas da estrarre col fracking nel Nordest, gasdotti da costruire per mille chilometri, impianti di liquefazione e infrastrutture portuali a devastare una costa intonsa – significa infatti spalancare il Nord della British Columbia ad insediamenti industriali che metteranno a rischio l’esistenza di un habitat per i salmoni selvaggi tanto prezioso quanto delicato, e con questo la sopravvivenza stessa della cultura dei nativi della costa, una delle culture indigene più antiche del Nord America. Erano mesi che i Lax Kw’alaams, alleati con le tribù del bacino dello Skeena, lo ripetevano in riunioni interne, assemblee pubbliche, conferenze scientifiche, appelli e lettere aperte; inascoltati, scettici – non a torto – a fronte delle promesse di Trudeau, il 12 maggio si erano presentati al Palazzo di vetro a New York e al Forum permanente dell’ONU sulle questioni indigene avevano chiesto “di dire al nostro Primo Ministro di tener fede ai suoi impegni presi nei nostri confronti; ditegli che può cominciare già adesso, sostenendoci nel nostro sacro dovere di proteggere la nostra terra”.

Le interviste e le riprese sono state effettuate in Canada dal giugno all’ottobre 2016 dai due autori, che autofinanziandosi hanno percorso il tragitto dei previsti gasdotti dalla valle del Peace River all’Oceano Pacifico in British Columbia. Il progetto di documentazione della resistenza nativa proseguirà quest’anno, 2017, con altri quattro mesi di viaggio in Canada, per seguire le proteste contro il nuovo oleodotto Trans Mountain previsto dall’Alberta a Vancouver. Paola Rosà è giornalista professionista e traduttrice. Antonio Senter si occupa di design e riprese video. Insieme hanno realizzato diversi documentari girati in Canada e Stati Uniti.
Il sito: www.rosasenter.weebly.com

Il 12 maggio 2016 una delegazione dei Lax Kw'alaams interviene all'ONU denunciando come il progetto della Petronas minacci la sopravvivenza della cultura tradizionale legata alla pesca e chiede alle Nazioni Unite di intercedere presso il governo canadese.

Ma è dall’agosto 2015 che l’operazione di tutela della costa è diventata gesto plateale di denuncia: per bloccare le prime trivellazioni e il disboscamento dell’isolotto di Lelu Island, destinato ad accogliere il mega impianto della Petronas, un gruppetto di giovani accompagnati dal Chief dei Lax Kw’alaams si era insediato sull’isola.

Il presidio di Lelu Island, che bloccherebbe la costruzione dell’impianto della Petronas neutralizzando di fatto l’intero progetto, pozzi e gasdotti compresi, è il gesto disperato di chi non ha altro modo per farsi ascoltare, è la mossa coraggiosa del piccolo contro i giganti, è la dignità intoccabile di chi guarda al di là del proprio orticello. L’occupazione infatti era stata decisa dopo che la multinazionale e il governo provinciale avevano ignorato il voto unanime di un’assemblea a maggio che aveva respinto al mittente l’offerta di oltre un miliardo di dollari in benefici e contributi. Nonostante il no della piccola comunità, in estate erano proseguiti i sondaggi tecnici e i sopralluoghi. E di lì a qualche mese il governo provinciale avrebbe riproposto una consultazione tra i residenti per annullare la decisione del maggio 2015. “Ma il nostro no era un no per il futuro, perché che ce ne faremo dei soldi se qui non ci sarà più un solo pesce da pescare?”, argomenta Ken Lawson leader del clan Gitwilgyoots dei Lax Kw’alaams.

A Lelu Island e sui fondali sabbiosi di Flora Banks non sono ancora arrivate le ruspe, ma questo solo perché la Petronas continua a rinviare la decisione definitiva di investimento per i bassi prezzi di mercato degli idrocarburi. La gente intanto ha cominciato a cedere e nel febbraio 2017 il Consiglio della Tribù ha firmato un accordo con la Provincia in cambio di contributi per la ristrutturazione di scuole e centri sportivi. “Non è detta l’ultima parola”, rassicura Peter McCartney che per il Wilderness Committee ha elaborato il calcolo dei costi ambientali della liquefazione del gas, dimostrando come le emissioni stimate lungo tutta la catena di lavorazione, dall’estrazione al trasporto all’export sulle navi cisterna fino in Asia, superano di gran lunga le emissioni di gas serra del carbone. “Oltre a mettere in pericolo l’habitat di milioni di salmoni nel Pacifico, questi progetti impediranno al Canada di rispettare gli impegni presi da Trudeau al vertice di Parigi”.

Le emissioni in gas serra nella catena di trasformazione del gas naturale da liquefare per l'export su navi cisterna verso la Cina comparate con le emissioni della filiera del carbone dalle miniere cinesi all'utilizzo finale. Il bilancio ambientale è chiaro.

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