Il Brasile più povero di Lula

di Ilario Pedrini

L’ex presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva non ha più il passaporto. Gli è stato tolto dal un giudice federale: un ritiro considerato necessario poiché si ritiene che esista un concreto rischio di fuga all’estero.

Lula, 72 anni, condannato in appello a 12 anni di reclusione per corruzione, aveva in programma un viaggio in Etiopia per partecipare ad una conferenza della Fao.

Niente Fao, niente Europa, niente viaggio. Il nome del giudice che ha ordinato il ritiro del documento si chiama Ricardo Leite. Il nome dell’ex presidente è stato inserito nella lista delle persone  che non possono lasciare il Paese. Il sui passaporto finisce quindi nelle mani della polizia federale di San Paolo.

L’ex presidente ha visto crollare la propria popolarità sotto il peso delle accuse : l’occultamento della proprietà di un appartamento di lusso a Guarujà intestato all’impresa di costruzioni Oas, «che Lula avrebbe acquistato a un prezzo vantaggioso in cambio del suo intervento a favore dell’assegnazione di appalti con la Petrobras» scrive il Manifesto.

Si parla di lavori per la ristrutturazione di un attico, in una località balneare del litorale di San Paolo. «Quella ristrutturazione, secondo il giudice Moro, nasconderebbe il pagamento di una tangente di 3,7 milioni di reais brasiliani, circa un milione di euro, da parte di una impresa di costruzioni, La Oas, beneficiata dal sistema di tangenti di cui Lula era, secondo l’accusa, perfettamente a conoscenza» si legge sul Foglio.

 

 

Gli avvocati difensori Cristiano Zanin Martins e Valeska Martins hanno parlato di «irregolarità del processo presso il Comitato per i diritti umani delle Nazioni unite, che si pronuncerà il prossimo marzo»- Molti giuristi sono convinti che Lula sia vittima di «lawfare, cioè dell’uso del processo legale per fini politici: nel suo caso, allo scopo di impedirne la candidatura alle presidenziali, che, stando ai sondaggi, lo vedrebbero come sicuro vincitore».

Tecnicamente la partita giudiziaria è lontana dal terminare.  Lula, infatti, potrebbe ancora ricorrere al Tribunale superiore elettorale e al Supremo tribunale federale. Potrebbe in realtà presentare la propria candidatura alla presidenza della Republica. «Solo 5 giorni dopo l’iscrizione, a partire dal 15 agosto, i suoi avversari potrebbero sollecitarne l’impugnazione presso il Tse (un processo che potrebbe non concludersi prima dell’appuntamento elettorale), sulla base della legge Ficha Limpa, emanata dallo stesso governo Lula nel 2010, che proibisce a chi sia stato condannato in secondo grado di presentarsi alle elezioni».

Una scelta, quella della candidatura in condizioni estreme, che gli osservatori internazionali considerano improbabile, senza contare che altri studiosi di diritto brasiliano ritengono che si tratti di una strada non percorribile.

Una sintesi del panorama politico viene dal Sole 24 Ore: «L’ex presidente Dilma Rousseff, destituita per impeachment nel 2016, parla di «una serie di “golpe” istituzionali, messi in atto dalle consorterie brasiliane: il primo è stato, appunto, l’impeachment, il secondo la riforma del lavoro anticostituzionale e il prossimo obiettivo è la riforma delle pensioni. Una condanna di Lula – ha spiegato Rousseff – si configura come il prosieguo di questa strategia politica».

E poi c’è il quadro economico:  «Sono lontani gli anni del boom economico brasiliano, della stabilità politica e della maggiore equità redistributiva.

Il Brasile dopo una lunga e pesante recessione rivede un Pil in leggero rialzo (+0,7% nel 2017) ma quest’ennesimo scontro politico giudiziario non rasserena gli animi degli investitori. Intanto la fiducia dell’elettorato scende ai minimi storici, meno del 10% dei brasiliani dà credibilità ai componenti del Congresso».

Intanto la simpatia di Lula, stando almeno ai sondaggi, non pare destinata a crollare, colpa (o merito)  – si dice – delle politiche si austerità del governo Temer. Non sfugge a nessuno che 13 milioni di persone sono senza lavoro ed è facile, in questi casi, ricordare i tempi della vacche grasse, quindi l’epoca di Lula.

Circola in internet una raccolta firme a favore della sua candidatura. L’Altraeconomia ricorda che vi hanno aderito  il linguista e filosofo americano Noam Chomsky,  il sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos, l’ex presidente argentino Cristina Kirchner, lo scrittore portoghese Pilar del Rio, l’ex ministro delle finanze Yánis Varoufákis e l’ex primo ministro italiano Massimo D’Alema, il regista americano Oliver Stone. Da dicembre a oggi l’hanno sottoscritta 188 mila persone.

«Perfino Herta Däubler-Gmelin, ministra della Giustizia della Germania dal 1998 e 2002, ha affermato in una lunga lettera che “è scandaloso il comportamento del potere giudiziario nei processi contro l’ex presidente”, aggiungendo che “la conferma della sentenza che ha condannato Lula non solo comprometterebbe la credibilità e l’efficacia della lotta alla corruzione, ma allo stesso tempo rivelerebbe l’assenza dello Stato di diritto in Brasile”.

E poi c’è il “Lula fanatico” numero uno del calcio internazionale, secondo solo a Pelé per popolarità, Diego Armando Maradona (nella foto tratta dal suo sito).

 

 

 

 

 

https://ilmanifesto.it/lula-e-il-giorno-del-giudizio-e-la-destra-gia-festeggia/

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/americalatina/2018/01/26/brasile-ritirato-il-passaporto-a-lula_6a9d2927-19c0-48cb-b8ec-34abdf7716e5.html

https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/01/24/news/brasile-processo-lula-intrigo-pt-174821/

https://altreconomia.it/lula-futuro-del-brasile/

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