Iracheni ancora in piazza

La protesta non si è fermata con la nomina del nuovo primo Ministro. Nuove denunce di ong e società civile contro la repressione

L’Iraq ha un nuovo primo Ministro ma la protesta degli iracheni non si ferma e i manifestanti denunciano ennesime violenze da parte delle forze di sicurezza. Il 1 febbraio, il presidente iracheno Barham Salih ha designato Muhammad Tawfiq Allawi come nuovo premier, dopo che a novembre Adel Abdul Mahdi aveva rassegnato le dimissioni a seguito delle proteste che da mesi infiammano il Paese. Allawi avrà 30 giorni di tempo per formare un esecutivo in grado di condurre il paese verso un nuovo processo elettorale.

Nelle sue prime dichiarazioni Allawi ha reso omaggio ai cittadini iracheni che da mesi sono scesi in piazza: “Senza il vostro coraggio e sacrificio, non ci sarebbe stato alcun cambiamento nel Paese”.  Il premier ha annunciato elezioni anticipate “libere ed eque”, ha chiesto il proseguimento delle proteste, ha promesso di mettere le richieste dei manifestanti al centro del suo programma politico e di fare giustizia per i manifestanti uccisi.

Nonostante queste dichiarazioni l’Ispi rileva che la nomina di Allawi non rappresenta una rottura degli accordi che ingessano il sistema politico iracheno e che le nuove generazioni combattono.  “La scelta di Allawi – scrive l’Istituto per gli studi di politica internazionale – rispetta la consuetudine emersa a partire dal 2005 secondo cui l’incarico di primo Ministro è attribuito ad un rappresentante della comunità sciita, quella maggioritaria nel paese, mentre il capo dello stato e il presidente del parlamento sono affidate rispettivamente ad un curdo e un sunnita”.

La nomina di Mohammed Tawfiq Allawi è stata, secondo quanto riportato dal portale Iraqi Civil Society, respinta dai manifestanti, che vedono la sua nomina come un complotto da parte di Muqtada al-Sadr definito un “controverso populista religioso sciita”. Secondo il portale la rottura tra Sadr e i manifestanti è iniziata il 26 gennaio, quando questi ha ordinato ai suoi seguaci di lasciare le proteste.  “Mentre i devoti seguaci di Sadr hanno impacchettato le loro tende in Tahrir Square – il principale punto di protesta di Baghdad – i manifestanti hanno negato le voci secondo cui la rivolta antigovernativa di quattro mesi sarebbe immediatamente crollata senza il suo sostegno.”

Il portale Iraqi Civil Society riporta poi un nuovo capitolo di violenza nei confronti dei manifestanti e denuncia che le forze di sicurezza irachene, a Baghdad e in altre città del Sud e del Centro del Paese, starebbero usando fucili da caccia per tenere sotto controllo i manifestanti non violenti. “Questa – denuncia il portale – chiara e brutale escalation di violenza si accompagna ad ulteriori arresti e rapimenti di attivisti. Più in particolare, circa 30 manifestanti sono stati feriti da gas e proiettili vivi, mentre a Karbala è stata annunciata la morte di un altro manifestante, ferito a morte dalle ferite subite giorni fa dal fuoco delle forze di sicurezza irachene”. “I team medici di Baghdad – proseguono – hanno confermato che dozzine di manifestanti sono stati feriti dalla polizia antisommossa che brandisce armi. Alcuni sono in gravi condizioni, in particolare gravi sono le lesioni agli occhi e alla testa. Questa forza eccessiva è direttamente in linea con i precedenti tentativi di porre fine alle proteste che hanno attanagliato Baghdad e l’Iraq meridionale e centrale per oltre 120 giorni”.

Ali al-Bayati, membro della Commissione per i diritti umani in Iraq, ha affermato che “la Commissione ha documentato molti casi di feriti causati da nuove armi usate dalle forze di sicurezza irachene contro i manifestanti, molti dei quali sono fucili tipicamente usati per caccia animali selvatici”.

L’iniziativa di solidarietà della società civile irachena (Icssi), che sul sito web racconta la protesta in corso fornendo il punto di vista degli iracheni che da mesi popolano piazza Tahrir e non solo, è nato dalla coalizione che nel 2003 organizzò la più grande manifestazione pacifista della storia contro la guerra in Iraq e, da allora, ha continuato a lavorare contro l’occupazione straniera del paese, per i diritti umani e la giustizia sociale in Iraq. L’Icssi ha come obiettivo la facilitazione del “processo di costruzione di collegamenti concreti di solidarietà tra le organizzazioni della società civile internazionale e la crescente società civile irachena, attraverso progetti pratici che promuovono i diritti umani e sostengono gli sforzi contro le divisioni settarie , corruzione e violenza” e sostiene “le iniziative non violente delle Ong irachene, dei sindacati, dei movimenti sociali e dei media indipendenti che si stanno sforzando di promuovere la giustizia sociale, difendere i diritti umani e superare anni di guerra, violenza e privazione costruendo una pace giusta e duratura”.

*In copertina la foto delle proteste tratta da www.iraqicivilsociety.org

(Red/Al.Pi.)

Tags:

Ads

You May Also Like

Pace, guerra e pandemia. Cosa dice il GPI

I risultati del Global Peace Index di quest'anno mostrano che il livello medio di condizione pacifica  a livello  globale è peggiorato. Anche grazie al Coronavirus

I risultati del Global Peace Index di quest’anno mostrano che il livello medio di ...

Sudan: un Paese nel caos

Saltato il piano per la transizione democratica, i combattimenti in corso innescano una catastrofe umanitaria e mettono a dura prova il sistema sanitario, col rischio di coinvolgere i Paesi vicini. Situazione tesa anche nel Darfur

In Sudan i combattimenti iniziati il 15 aprile scorso continuano ancora. In varie zone ...

Ucraina: a parlare solo le armi. Il punto

250 giorni di guerra mentre il possibile cessate il fuoco resta lontano. La diplomazia fra Ucraina e Russia resta al palo

di Raffaele Crocco Il giorno 250 di questa guerra è alle spalle. Il possibile ...