Libia-Italia: i conti in tasca

di Tommaso Andreatta

L’accordo tra Italia e Libia fa acqua. Lo dicono alcuni intellettuali, giuristi ed ex politici libici. Il 14 febbraio, giornata degli innamorati, hanno fatto sentire il loro non-amore per un memorandum che sarebbe incostituzionale. Il gruppo ha presentato un ricorso di 23 pagine alla corte d’appello di Tripoli. In pratica – dicono – il primo ministro Fayez al Sarraj ha firmato senza il preventivo via libera del Parlamento (i parlamentari libici si sono ritirati a Tobruk nel 2014). Ma, al di là delle questioni di diritto, il punto è che l’accordo risulterebbe troppo oneroso per la parte libica. Dubbi in merito al protocollo sono stati sollevati anche in Italia. Il memorandum – dice il costituzionalista Paolo Bonetti – non rispetta l’articolo 80 della nostra Carta fondamentale, che prescrive la ratifica da parte del parlamento dei trattati internazionali, quelli di natura politica e che comportano esborsi di denaro da parte dello Stato. Insomma il governo non può fare tutto da solo. Lo si dice a Roma come lo si dice in Africa. Interpellata dal Corriere della Sera l’avvocatessa libica Azza Maghur, tra i firmatari del ricorso, ha parlato di violazione dei regolamenti europei sull’asilo, perché “permette il respingimento dei profughi in un paese che non riconosce la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e che non può essere considerato sicuro” riporta Internazionale. E il punto è proprio questo perché è proprio questo il nucleo del “patto” tra Roma e Tripoli..La legale contesta anche il fatto che i finanziamenti italiani per contenere il flusso migratorio non sono stati quantificati, mentre lo spazio di manovra lasciato alla parte africana è tropo vago: “C’è il rischio altissimo di creare un clima di razzismo, con migliaia di detenuti in uno stato che non ha polizia né esercito”. Questo dunque il nervo che i due governi avevano pensato di anestetizzare, senza fare i conti con i giuristi delle due parti. Annalisa Camilli parla anche della debole sostenibilità economica del patto. E cita Chiara Favilli, esperta di politiche europee di immigrazione e asilo: “Nel memorandum Italia-Libia si precisa che non ci saranno stanziamenti aggiuntivi oltre a quelli già previsti, ma non si capisce bene a quale previsione ci si riferisce”. Secondo la docente di diritto europeo “si rinvia anche all’articolo 19 del Trattato di amicizia del 2008 che prevedeva un onere a carico del bilancio italiano per il 50 per cento e il restante a carico dell’Unione europea. Dalla legge di esecuzione del trattato si evinceva poi che quel 50 per cento a carico dell’Italia era di fatto pagato attraverso una tassa versata dalle aziende italiane impegnate in Libia come l’Eni” La docente dice che si deve capire se quell’articolo è ancora in vigore. In caso contrario il governo dovrà recuperare quel denaro con tassazioni dirette in patria. È quindi un fuoco di fila sul documento firmato dai due presidenti. Sul Post Ettore Ferrari fa un po’ di conti in tasca al governo di Paolo Gentiloni, che da qualche parte i soldi deve trovarli: “Nello stesso giorno dell’incontro fra Gentiloni e Sarraj, il ministro degli Esteri Angelino Alfano  ha annunciato la creazione di un progetto da 200 milioni di euro chiamato “Fondo per l’Africa”, che materialmente si occuperà di finanziare le attività di sicurezza di alcuni paesi africani coinvolti nelle tratte di migranti. I paesi citati da Alfano come principali partner sono la Libia, la Tunisia e il Niger. È quasi certo che l’accordo firmato fra i due governi sarà parzialmente finanziato da questo fondo; anche Reuters ha fatto notare che il governo italiano non ha specificato quanti soldi intende dare alla Libia, e che più in generale – tenendo conto anche dei fondi europei arrivati in Libia – siamo molto lontani dalle cifre di un simile accordo preso fra Turchia e Unione Europea”.

 

 
 

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