Quando la politica internazionale dei trattati e l’economia finanziaria non vanno di pari passo.
Sono infatti 119 le nazioni ad aver aderito alla Convenzione del 2008 contro le munizioni a grappolo ma negli ultimi quattro anni sono 166 le istituzioni finanziarie ad aver investito in aziende che producono queste armi.
A dirlo il rapporto ‘Worldwide investements in cluster munitions a shared responsability’ presentato il 23 maggio a Tokyo dall’associazione PAX, ONG con sede nei Paesi Bassi membro della Cluster Munition Coalition, e riportato dalla rete italiana per il Disarmo, Controllarmi.
Gli investimenti per sei aziende con sede in Cina, in Corea del Sud e negli Stati Uniti si stimano da ottobre 2009 a marzo 2017 in 31 miliardi di dollari.
Ad oggi infatti molti stati, produttori di armi e di alcune loro componenti non hanno firmato la convenzione. Tra questi troviamo Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Pakistan e Brasile.
Le cluster bomb hanno effetti devastanti sulle popolazioni civili e hanno la caratteristica di provocare morti, feriti e mutilati anche per decine di anni anche dopo la fine dei conflitti.
Le bombe a grappolo rimangono infatti ‘aggrappate’ per poi cadere successivamente al lancio, anche dopo anni.
In Italia dalla ratifica della Convenzione sulle Munizioni Cluster la Campagna Italiana contro le mine e la Rete Italiana per il Disarmo hanno promosso e supportato l’iter del disegno di legge ‘Misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo’.
Il Ddl 4096, dopo la sua approvazione al Senato si trova ora in attesa di essere calendarizzato per la votazione alla Camera dei Deputati oppure di essere rinviato di nuovo in Commissione Finanze.