Africa, il Continente in movimento

E’ mobile il continente più grande del Pianeta. E’ la terra in cui uomini e donne, migranti, si muove di più.

In una prospettiva globale, i dati diffusi dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) e dall’Ocse sottolineano che su totale di 191 milioni di migranti, solo 17 milioni provengono dall’Africa, (l’1,9% della popolazione del continente). Anche se avere dati dettagliati e completi è difficile, le stime più accreditate valutano che dei 17 milioni di africani almeno il 70% rimangono sul continente e solo il 12% parte verso l’Europa.

Dalla mappatura del Laboratorio Misto Internazionale Movida (Mobilità, Viaggi, Innovazioni e Dinamiche nelle Afriche mediterranea e sub sahariana) con sede a Dakar emerge che a spostarsi maggiormente sono le popolazioni dell’Africa occidentale e in parte dell’Africa australe, mentre rimangono pressoché ferme quelle dell’Africa centrale.

Per avvalorare la tesi che l’invasione europea non ha fondamento c’è anche il  Rapporto Onu International Migration del 2015 che ha fatto emergere che i flussi migratori da Sud verso Nord rappresentano soltanto il 3,2% della popolazione mondiale mentre quelli di migranti Sud-Sud sono tre volte superiori e rappresentano 740 milioni di persone in tutto il mondo.

A questa migrazione si aggiunge poi la questione sfollati (vedi approfondimento 2) con più di 31,1 milioni di persone che nel 2016 state costrette a lasciare la propria casa a causa di catastrofi naturali o guerre.

Se grossomodo tutti i Paesi del Mondo sono allo stesso tempo area di destinazione, origine e transito della migrazione, per l’Africa questo vale molto di più.  Tante le ragioni, legate alle condizioni economiche, politiche e alle guerre. Ma il motivo principale è che qui lo sviluppo demografico non accenna a placarsi. Ci sono milioni di giovani, e il sovrappopolamento non si accompagna al miglioramento delle condizioni di vita o a una crescita della giustizia sociale, della sicurezza, della stabilità politica. Soprattutto non c’è una equa distribuzione della ricchezza.

Le migrazioni dell’Africa hanno quindi un carattere misto, in cui si possono rintracciare una grande quantità di cause economiche, politiche ed ambientali.

Ci sono i disastri ambientali, causati dall’uomo. Ne sono pessimo esempio la deforestazione in Costa d’Avorio, nella Repubblica Democratica del Congo, in Liberia, in Benin, Togo e Camerun. Un’altra causa si può rintracciare nel fenomeno del land grabbing, ovvero l’accaparramento di terre, di cui sono responsabili imprese, fondi d’investimento e governi di tutto il mondo. C’è poi la cattiva gestione delle risorse del Nilo, lo sfruttamento dei pozzi petroliferi in Nigeria, con l’inquinamento quasi irreversibile della foce del fiume Niger. All’infinito elenco, possiamo aggiungere anche la rapida desertificazione del Sahel –  che interessa Niger, Mali e Mauritania – e di altri territori: Sierra Leone, Ghana, Nigeria e Senegal.

Inoltre, la scarsità di piogge ha provocato l’inaridimento del lago Ciad (il cui bacino è diminuito di oltre il 95% negli ultimi 40 anni) e del lago Faguibine (a ovest di Timbuctu) Da rilevare poi anche il drastico abbassamento del livello del fiume Niger, le alluvioni in Mozambico e la siccità in Mali, Burkina Faso, Togo ed Etiopia.

Queste le cause ambientali, cui si affiancano i conflitti armati.

Una delle situazioni più preoccupanti è nel  Sudan del Sud. Il conflitto tra le due fazioni del Movimento per la liberazione del popolo sudanese (Splm), in corso dal 2013, sta costringendo centinaia di migliaia di persone a spostarsi in Sudan, Etiopia e Uganda. Nel 2017 almeno 1milione 30mila sud sudanesi si sono rifugiati nel solo Uganda.

L’Africa, insomma, ha sin troppe ragioni per costringere i propri uomini e donne ad andarsene. Secondo il rapporto UNHCR, alla fine del 2016 le persone costrette ad abbandonare le proprie case in tutto il mondo sono state 65,6 milioni. Di queste l’84 per cento è stata ospitata in Paesi a basso o medio reddito. Numeri spaventosi. Bene: tra i dieci Stati che nel 2016 hanno ospitato un maggior numero di persone in fuga, cinque sono africani: Etiopia, Kenya, Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Ciad. L’Uganda, da solo, come abbiamo visto, ospita un numero di rifugiati nei campi profughi sul proprio territorio superiore al totale di persone accolte in tutta l’Unione Europea.

Inversione di rotta: la migrazione di ritorno

Tornare nel Paese di origine sta diventando per molti migranti una possibilità da non sottovalutare.

A tornare è, per esempio, la piccola e media borghesia africana arrivata in Europa nella prima ondata migratoria degli anni Settanta e Ottanta a causa di guerre, colpi di Stato e sottosviluppo nei Paesi di origine. Tra questi molti bancari algerini, impiegati negli istituti di credito francesi. Stanno rientrando nel proprio Paese per aprire studi di consulenza finanziaria. Anche gli ingeneri nigeriani e kenioti, dalla Gran Bretagna stanno tornando in Nigeria e in Kenya per dirigere i lavori nel piano di rilancio delle opere pubbliche.

Il quotidiano The Guardian ha pubblicato una indagine sul fenomeno dei rimpatri, concentrandosi in particolare sui giovani etiopi figli di immigrati, in possesso di diplomi universitari, attirati dal boom economico del proprio Paese.

Un’altra inchiesta è sulla rivista Inspira Afrika, realizzata in collaborazione con Avako Group Africa France. Riguarda il rimpatrio di immigranti africani francofoni. Si scopre che il 38% degli immigranti africani, residenti in Francia, che decidono di ritornare nei loro Paesi d’origine, ha lavori dirigenziali in importanti aziende pubbliche e private. Il 19% sono alti funzionari presso banche e agenzie di consulenza finanziaria francesi, il 21% alti funzionari di marketing e comunicazione e il 13% dirigenti di compagnie di telecomunicazione.

Dall’inchiesta emerge che il 63% di questi professionisti, rientrano in Africa motivati dalla volontà di partecipare al miracolo economico del Continente, mentre il 49% è attirato da opportunità professionali più gratificanti e meglio retribuite. In Francia sono sopratutto le donne manager africane a ritornare in Africa. Esse rappresentano il 58% degli immigrati che ritornano nei loro Paesi d’origine.

A confermare che le strade della migrazione non sono a senso unico c’è anche “Demal te niew”. E’ un webdocumentario che racconta la storia di tre senegalesi che,  dopo aver trascorso anni in Italia, hanno deciso di scommettere su un futuro nel proprio Paese. Nel documentario un team del KDD Lab (Cnr e Università di Pisa), con il supporto dell’Infrastruttura di ricerca SobigData ha eseguito un lavoro di analisi e visualizzazione dati con lo scopo di contestualizzare le storie dei tre protagonisti del documentario nel quadro più ampio delle migrazioni attuali.

Sfollati ambientali e non

Ne abbiamo parlato all’inizio di questo dossier: causa il surriscaldamento del Pianeta,  molte regioni del continente – il Corno d’Africa o Paesi come lo Zimbabwe – hanno visto negli anni peggiorare i loro problemi ambientali. Siccità, carestie, inondazioni, deforestazioni, incendi incontrollati o inverni particolarmente rigidi sono tra i fenomeni provocati dai cambiamenti climatici che gli africani stanno affrontando.

Le condizioni climatiche sfavorevoli, spingono centinaia di migliaia di persone a migrare in cerca di risorse idriche. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (una ong con sede a Ginevra) in Africa si contavano nel 2015 almeno 8 milioni di sfollati ambientali. Secondo il Rapporto 2017 globale sugli sfollati interni (ovvero coloro che abbandonano le proprie case ma non attraversano il confine nazionale) pubblicato dal Centro di monitoraggio dei trasferimenti forzati interni (Idmc) e dal Consiglio norvegese dei rifugiati (Nrc) il numero nel 2016 sarebbe stato ancora maggiore, superando i  31,1 milioni di persone.

Per 24,2 milioni l’evento scatenante è stato un disastro naturale, mentre la vita degli altri 6,9 milioni è stata travolta da un conflitto. Lo studio mostra come questi disastri siano accaduti per lo più in Paesi con redditi bassi o medio-bassi e questa tendenza dovrebbe rafforzarsi in futuro a causa degli impatti del cambiamento climatico in atto. Tra i Paesi più colpiti ci sono Niger, Nigeria, Ciad, Sudan del Sud e Madagascar.

Un’altra situazione drammatica si riscontra nel sud est dell’Etiopia, al confine con la Somalia. Nel 2017 si è registrata una gravissima siccità, che ha costretto le persone a trasferirsi  nei villaggi del sudest del Paese. Nella regione “Somali” ci sono oggi 264 villaggi con 600mila sfollati. E intanto anche i campi sfollati nella zona settentrionale di Siti, che si sono formati durante le carestie del 2015 e 2016, continuano ad essere pieni.
Le Nazioni Unite stimano che in Etiopia, tra l’Oromia e la Regione Somali, 15 milioni di persone hanno urgente bisogno di aiuti alimentari a causa della siccità, divenuta endemica.

Ma oltre al clima,  c’è la guerra: nell’Africa sub-sahariana 2,6 milioni di uomini, donne e bambini hanno dovuto cercare un rifugio di fortuna per sfuggire ad un qualche scontro o conflitto armato. Per entrare più nello specifico, la Repubblica democratica del Congo ha avuto 922 mila nuovi sfollati nel solo 2016.

Il Paese africano ha avuto più sfollati della Siria, dove la guerra ha costretto alla fuga dalle proprie abitazioni 824 mila persone. Seguono altri due Paesi dell’area mediorientale, Iraq (659 mila) e Afghanistan (653 mila), poi si torna in Africa, con la Nigeria (501 mila) e lo Yemen (478 mila).

Complessivamente, sommando i nuovi sfollati con quelli che lo erano già a inizio 2016, a fine 2016 le persone nel mondo obbligate a stare fuori di casa – sfollate o rifugiate – a causa di un conflitto in corso erano 40,3 milioni.