Chi investe nella Cooperazione internazionale

a cura di Alice Pistolesi

Quanto si investe nella Cooperazione Internazionale? Chi ha il primato? Definire la solidarietà che il mondo più ricco destina alle parti più povere non è semplice. Anche perché, oltre alla questione quantitativa, di fondamentale importanza è quella qualitativa. Ovvero: si investe nel settore di sviluppo migliore per chi ne beneficia? E come si misurano questi benefici?

In questo dossier proveremo a definire alcuni spunti dello stato della Cooperazione Internazionale nel mondo, analizzando il caso italiano, ma anche i dati che arrivano dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.

Il 2017 sarà ricordato come l’anno nel quale gli aiuti allo sviluppo hanno subito una flessione. Secondo i dati forniti dal Comitato di assistenza allo sviluppo dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), emerge una riduzione globale degli aiuti dello 0,6%. Per la prima volta dal 2012 si assiste quindi ad una tendenza negativa.

Secondo l’Ocse il calo è soprattutto una conseguenza dell’attenuarsi della crisi migratoria che ha interessato l’Europa dal 2014 al 2016, ma che è diminuita nel 2017, complici le politiche di contenimento europee.

E infatti per molti Paesi europei il calo dei flussi finanziari per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (aps), è dovuto alle minori risorse destinate ai rifugiati. Risorse che in Europa sono scese in media dall’11% del 2016, al 9,7% del 2017. In questo senso si può concludere che, se si escludono i costi di gestione dei rifugiati interni ai Paesi donatori, i dati Osce dimostrano un aumento degli aps del 1,1% rispetto all’anno precedente.

Ancora diversa la questione per gli aiuti umanitari, che nel 2017 sono aumentati  del 6,1% rispetto all’anno precedente.

L’importanza della cooperazione internazionale è stata ribadita dal presidente delle Nazioni Unite Antonio Guterres nel suo discorso di indirizzo nel rapporto presentato alla 73ª Assemblea generale dei leader del mondo del settembre 2018.  “Solo la cooperazione internazionale  – ha detto – è in grado di garantire la pace, difendere i diritti umani e guidare il progresso economico e sociale”.

Il caso Italia

L’Italia potrebbe e dovrebbe fare di più. Ogni anno il Paese destina oltre 3 miliardi di euro nella cooperazione internazionale ma non è mai riuscita a raggiungere l’accordo del Consiglio Europeo del 2002 che obbligava gli Stati membri a devolvere lo 0,7% del proprio Pil a fondi per lo sviluppo. L’accordo del Consiglio Europeo è stato poi recepito dalle Nazioni Unite. La soglia stabilità è stata infatti giudicata fondamentale per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio.

Il portale OpenAid Italia, lanciato dal Ministero degli Affari Esteri guidato da Angelino Alfano, riportava i dati di questi investimenti, sottolineando un trend in crescita. Gli investimenti sono infatti passati dai 2,2 miliardi del 2012 ai 4,7 del 2016. Il 2016 è stato infatti l’anno di maggior investimento, superando il 2005, l’anno in cui l’Italia investì 4,5 miliardi di euro (fermandosi in ogni caso allo 0,29% del Pil, quindi lontanissimo dal target europeo). Il sito non riporta i dati del 2017. Nel 2014 è stata costituita l’Agenzia della cooperazione internazionale e con la Legge 125  dell’111 agosto 2014 sono state introdotte nuove regole.

Nonostante la crescita, comunque, nel 2015 l’Italia occupava l’ultima posizione tra i Paesi del G7 per percentuale di Pil destinata alla cooperazione.

Ma le nubi sulla cooperazione made in Italy non riguardano solo la quantità dei fondi ma anche dove vengono destinati. Da alcuni documenti resi noti nel 2017 dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) i fondi italiani per la cooperazione internazionale allo sviluppo stanno contribuendo anche al settore militare per impedire ai migranti di partire.

Con una richiesta di accesso agli atti presentata al ministero degli Esteri, gli avvocati di Asgi sono venuti a conoscenza di una decina di decreti di spesa nell’ambito dei finanziamenti comunitari previsti dal fondo fiduciario per l’Africa. In tutto ci sono in ballo 200 milioni di euro, già inseriti nella legge di bilancio approvata l’11 dicembre 2016.

Nella spesa per l’Africa, inoltre, si trovano 12 milioni di euro per il supporto tecnico alle autorità tunisine per migliorare la gestione delle frontiere e dell’immigrazione, da spendere per la rimessa in efficienza di una decina di motovedette, la fornitura di mezzi terrestri da impiegare per il pattugliamento delle zone costiere e il completamento del sistema di rilevamento delle impronte digitali.

E ancora 50 milioni di euro per la creazione in Niger di nuove unità specializzate necessarie al controllo delle frontiere, un nuovo centro di accoglienza per i migranti a Dirkou e la riattivazione della locale pista di atterraggio.

Altri 18 milioni sono stati poi destinati all’Oim per il programma di rimpatri e sostegno alle comunità locali libiche “Comprehensive and multi-sectoral action plan in response to the migration crisis in Libya” e 10 milioni all’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) per il programma “expanding Unhcr engagement Libya”.

Un’ulteriore voce è stata poi inserita con la dicitura “controllo e prevenzione dei flussi di migranti irregolari”.

I propositi dell'Ue

Più soldi alla politica estera dell’Unione Europea, compresa la cooperazione internazionale. Questa la proposta avanzata nel giugno 2018 dall’Alto rappresentante per la politica estera Europa Federica Mogherini.

L’Unione Europea  propone infatti  di aumentare le risorse del 30% per il Servizio europeo per l’azione esterna nel prossimo bilancio Ue (2021-2027) passando da 94,5 miliardi di euro a 123. La  maggior parte dei fondi (89,2 miliardi) dovrebbe essere destinato  allo Strumento di cooperazione internazionale, Sviluppo e Vicinato.

Lo Strumento per la Cooperazione si dovrà reggere su tre pilastri: quello geografico, con attenzione ai Paesi del vicinato e dell’Africa sub-sahariana, quello tematico per il sostegno a democrazia, diritti umani, società civile e stabilità e quello di risposta rapida, per rispondere alle crisi e per attività di prevenzione dei conflitti.

Il fondo si propone anche di assegnare 11 miliardi allo Strumento umanitario, e 10,5 al nuovo Fondo per la pace, strumento che dovrebbe contribuire a migliorare la capacità dell’Unione europea per prevenire i conflitti, costruire i processi di pace e garantire la sicurezza internazionale.

Nella politica estera europea non si può tralasciare il ruolo del controllo delle frontiere.  Il Fami (Fondo asilo e migrazioni) nel bilancio 2018 sfiora i 7 miliardi di euro. Nella proposta di bilancio 2021-2027 il Fami ha avuto 9,2 miliardi (+40%). Nello stesso capitolo è stata più che triplicata, da 5,6 a 18,8 miliardi, la voce “gestione delle frontiere”.

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