Donne e Pace – Prima parte. Il caso Colombia

A cura di Francesca Caprini dell’associazione Yaku

Iniziamo da una storia, quella di Luz Marina

L’hanno chiamata guerrigliera, terrorista; l’hanno minacciata per anni. Ma Doña Luz Marina Cuchumbé, contadina del Cauca, nel Sud Ovest della Colombia, non ha mai mollato: questa donna minuta, madre di quattro figli e liederessa della comunità di San Antonio, ha lottato fino all’ultimo per il riconoscimento delle responsabilità del Governo colombiano nell’uccisione della sua giovane figlia. Una battaglia da Davide contro Golia, che però Marina ha vinto. Hortensia Tunja Cuchumbe – così si chiamava la primogenita di Luz Marina – aveva 17 anni quando l’8 di gennaio del 2006, alle tre del mattino, stava tornando a casa in motocicletta con l’amico Manuel. L’hanno trovata poche ore dopo nella boscaglia, freddata da alcuni colpi di mitra insieme al giovane compagno.

L’esercito colombiano che monitorava la zona con il battaglione Cacique Pigoanza aveva rivendicato l’azione e quando alla madre fu mostrato il cadavere della ragazza, tutto fu chiaro: Hortensia era vestita da guerrigliera, era stata freddata perché ritenuta un’integrante delle FARC – le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – che in Cauca avevano uno dei fronti di conflitto più caldi. “Notai gli stivali – racconta Luz Marina – aveva la scarpa destra sul piede sinistro e viceversa. Era evidente che l’avevano rivestita di fretta, per coprire il loro orribile crimine”.

Luz Marina Cuchumbé ha lottato come solo una madre può fare per non far insabbiare il caso e farlo riconoscere come un caso di “falsos positivos”, l’atroce pratica di ammazzare e travestire giovani ragazzi di comunità isolate e farli passare per guerriglieri. Sotto il governo dell’allora presidente della Colombia,  Alvaro Uribe, si calcola che siano stati almeno 4000 i casi di falsos positivos, ma per le organizzazioni per i diritti umani che si stanno occupando della sistematizzazione dei dati, le cifre possono raddoppiare. Doña Luz Marina Cuchumbé ha raggiunto lo scopo che si era prefissa: ricevere le scuse ufficiali dell’esercito colombiano. Che dopo otto anni dalla morte di sua figlia sono state pronunciate durante una toccante cerimonia nel luogo dove Hortensia era stata ammazzata. Una cosa che Doña Luz Marina Cuchumbé non si sarebbe invece aspettata era di essere convocata all’Avana, a Cuba, come rappresentante delle vittime civili e come una delle 140 donne che hanno partecipato alla scrittura degli Accordi del processo di pace fra Governo e FARC.

Gli accordi di pace e la visione di genere

ll 24 novembre 2016, con una storico trattato il Governo di Manuel Santos e i rappresentanti delle Farc, principale esercito guerrigliero del Paese, hanno posto fine alla più longeva guerra interna dell’America latina.  Dopo 52 anni di conflitti militari che hanno insanguinato il Paese, la Colombia sta provando a girare pagina. Uno spazio importante lo stanno avendo le donne colombiane, che hanno visto nel processo di pace un’occasione storica: ma anche per questo hanno dovuto lottare. Degli oltre 250 mila morti, 7 milioni di sfollati costretti ad abbandonare le proprie case e terre, decine di migliaia di desaparecidos e vittime di violenze e criminalizzazioni, oltre metà sono donne. Ecco perché poco dopo che, nel 2012, le parti si erano messe attorno ad un tavolo all’Avana, con la supervisione di Norvegia e Cuba per iniziare le trattative di pacificazione, ci fu una sollevazione da parte di centinaia di donne appartenenti ad organizzazioni di base, associazioni umanitarie, settori politici e femministi, per la quasi totale esclusione delle donne dal percorso.

Uno storico incontro a Bogotà nel 2013, appoggiato da Onu Mujeres e dall’ambasciata svedese, propose ed organizzò una sottocommissione di genere che potesse essere parte integrante del processo di pace colombiano su alcuni punti focali: la questione della riforma rurale integrale,l’impulso alla cosiddetta economia solidale, per promuovere l’equità di genere, l’autonomia economica, la capacità organizzativa in particolare delle donne rurali e la partecipazione politica. I nuovi accordi di pace entrati in vigore lo scorso 7 febbraio, hanno previsto 6 punti: la fine dei combattimenti, il disarmo dei guerriglieri sotto la supervisione di una missione delle Nazioni Unite; l’uscita allo scoperto e il reintegro nella società di quasi  ottomila guerriglieri; la creazione della giustizia chiamata transazionale (JEP – Justicia Especial para la Paz), che cercherà di calcolare le riparazioni morali e materiali per le vittime e le sanzioni per guerriglieri, militari e responsabili dei reati più gravi; la conversione del gruppo in un movimento politico legale; una riforma agraria per la distribuzione delle terre e l’accesso al credito; la fine delle coltivazioni illecite nelle aree di influenza delle FARC, tra cui quella di cocaina, e un programma sanitario e sociale contro il consumo e il traffico di droga.

Il cosiddetto post accordo si svolge in un clima molto complesso, dove però è innegabile lo spazio che la questione di genere sta guadagnando. I sei punti degli accordi di Pace sono infatti attraversati da una visione che – anche  secondo le parole della direttrice esecutiva di Onu Mujeres Phumzille Mlambo-Ngcuka – “rappresenta probabilmente il miglior esempio di partecipazione politica da parte delle donne in un processo di pace”. In passato, altri processi di pace hanno visto il coinvolgimento delle donne (il Guatemala, la Liberia, l’Irlanda del Nord). Ma quello che fa ben sperare in Colombia è l’alto numero di partecipanti e l’attivismo da parte di organizzazioni al femminile che si sta mostrando nei territori. D’altronde, uno studio recente sull’applicazione della Risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza, ha dimostrato come in 650 casi di processi di pace nel mondo, aumenta di un 20% la probabilità che un accordo di pace duri almeno due anni, e un 35% che ne duri almeno  15. Lo stesso studio identifica le donne delle comunità come le più importanti per la reintegrazione.

Una scommessa importante, in un Paese in cui le cifre sui femminicidi sono terribili: l’Istituto di  Medicina Legale colombiano parla di 731 omicidi solo nel 2016, in aumento rispetto all’anno precedente; e quasi 50.000 casi di violenza interfamiliare. La Colombia è stata per più di mezzo secolo un Paese in guerra ed il corpo delle donne è stato uno dei campi di battaglia. Dalla firma degli accordi di pace, la situazione è diventata però allarmante: 120 sono le uccisioni registrate, aventi come oggetto leaders comunitari e difensori dei diritti umani ed ambientali. Solo nel primo semestre mesi del 2017, sono 42 , di cui 17 donne, le e gli attivisti ammazzati. Il ministero della difesa colombiano, nonostante l’allarme lanciato dalle principali organizzazioni per i diritti umani, parla di “non sistematicità”delle uccisioni e che il paramilitarsimo – oggetto di tutte le denunce – “è cosa del passato”.

Certo è che le donne leaders che più si stanno esponendo nell’attuazione degli accordi di pace, si stanno trasformando in un obiettivo militare. E fra queste c’è Luz Marina: le ultime minacce risalgono a pochi mesi fa, come riferito anche dalla Commissione Interecclesiale di Giustizia e pace Colombia. Luz Marina irrita certi meccanismi di potere tipici dei territori colombiani, perché ha denunciato, perché è donna ed in qualche modo sfida un sistema patriarcale e machista. Ma anche perché San Antonio, in Cauca, è zona di estrattivismo minerario: la multinazionale sudafricana Anglo Gold Ashanti ha ottenuto concessioni di sfruttamento del Macizo Colombiano per circa 27.000 ettari. In questo panorama, la capacità auto organizzativa delle comunità, che si oppongono alla svendita dei propri territori, non è vista di buon occhio. E le lotte in difesa della terra portata avanti dalle donne, sono più dure da piegare.

Donne combattenti

Un ruolo importante in Colombia lo stanno assumendo anche le donne ex-guerrigliere: “La costruzione della pace deve passare per l’inclusione della popolazione e deve essere basata sulla giustizia sociale ed ambientale”, dicono le organizzazioni di donne per la pace e femministe colombiane.

E si chiedono in che misura gli accordi di pace e la loro applicazione dovranno trasformare la relazione fra gli uomini e con la natura. Victoria Sandino, capitana guerrigliera delle FARC, è stata una delle referenti della subcomision de genero. Da vent’anni nel gruppo guerrigliero, racconta come anche dentro il suo esercito la lotta per un’uguaglianza di genere fosse iniziata da tempo. Nell’ottava conferenza delle FARC, nel ’93, venne messo nero su bianco l’equità di doveri e di diritti delle donne con gli uomini fariani. Nonostante questo, l’esercito delle FARC contava su una diffusa mentalità contadina, che vedeva con fatica la donna al comando o autonoma nei confronti del proprio uomo.

“Ma comunque noi donne siamo andate a combattere fianco a fianco agli uomini e il nostro valore ce lo siamo guadagnato sul campo”. L’idea delle donne fariane, che comunicano con il mondo attraverso il loro sito mujeresfarianas.org, è quella di portare nella società i valori rivoluzionari che hanno animato la stessa lotta guerrigliera contro il capitalismo.

La FIDM – Federación Democrática Internacional de Mujeres – ha denunciato pochi giorni fa in una conferenza stampa a Bogotà, come la popolazione femminile in colombia stia vivendo una tragedia umanitaria. Gloria Inés Ramírez, vicepresidente de la Federación , spiega come la visione di genere negli accordi di pace sia fondamentale per la società colombiana, perché garantisce che le leggi associate alla difesa dei diritti delle donne si realizzino nei territori: “Nonostante le diverse iniziative per visibilizzare e sostenere i percorsi per i diritti delle donne e la popolazioni LGTB, la preoccupazione per le costanti aggressioni verso la popolazione femminile da parte di paramilitari e bande criminali pone la comunità internazionale in allerta, così come le condizioni di totale insicurezza in cui ancora si muovono le donne ex combattenti”.

“Il legame fra lotta femminista, istanze delle organizzazioni di donne per la pace nelle diverse regioni colombiane, e il modello economico sostenuto da tempo dai governi colombiani, e per nulla messo in discussione da questi accordi, è un nesso fondamentale in ogni riflessione – si leggeva nel comunicato delle donne fariane per lo scorso 8 marzo – come Berta Caceres, abbiamo ricoperto storicamente un ruolo fondamentale nei diversi cammini per la difesa della Natura. Nei nostri processi, abbiamo messo in discussione il modello di sviluppo, la relazione con il potere costruita a partire dal genere, abbiamo costruito proposte di difesa dei territori basati sul riconoscimento della donna come soggetto politico. La criminalizzazione che ha dovuto subire Berta, la  subiscono quotidianamente le donne leaders colombiane, perche’ l’estrattivismo comporta il rafforzamento del sistema patriarcale, che conduce a forme di violenza e repressione e ostacolano la partecipazione attiva negli spazi di decisione e  di incidenza politica”.