Fortezza Europa: le frontiere dell’Unione

a cura di Alice Pistolesi

L’Europa si chiude a riccio. Molti Paesi applicano misure di controllo delle frontiere, decretando la morte o quantomeno il coma profondo del trattato di Shengen.

E tutto questo mentre lo stesso Consiglio Europeo il 28 giugno 2018 ammette che con le misure di “controllo efficace” delle frontiere esterne dell’Ue (alle quali l’Italia ha contribuito con gli accordi con la Libia dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti) si sia ottenuto un calo del 95% del numero di attraversamenti illegali delle frontiere.

In sostanza, il Consiglio europeo è determinato a proseguire e rafforzare questa politica per “evitare un ritorno ai flussi incontrollati del 2015 e contenere ulteriormente la migrazione illegale su tutte le rotte esistenti ed emergenti”.

“Il Consiglio europeo – si legge nelle conclusioni del summit – ribadisce che il buon funzionamento della politica dell’Ue presuppone un approccio globale alla migrazione che combini un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’Ue, il rafforzamento dell’azione esterna e la dimensione interna, in linea con i nostri principi e valori”.

In estrema sintesi ecco come questo dovrebbe avvenire:

Rotta del Mediterraneo centrale:

  • intensificare gli sforzi per porre fine alle attività dei trafficanti dalla Libia o da altri Paesi
  • continuare a sostenere l’Italia e gli altri paesi Ue in prima linea
  • rafforzare il sostegno a favore della regione del Sahel, della guardia costiera libica, delle comunità costiere e meridionali, e per condizioni di accoglienza umane e rimpatri umanitari volontari
  • potenziare la cooperazione con altri paesi di origine e transito e aumentare i reinsediamenti volontari

Rotta del Mediterraneo orientale e occidentale:

Occorre attuare pienamente la dichiarazione Ue-Turchia per impedire nuovi attraversamenti e fermare i flussi.

Il vertice ha richiesto maggiori iniziative per garantire rimpatri rapidi e prevenire lo sviluppo di nuove rotte migratorie e ha ribadito la necessità di portare avanti la stretta collaborazione con i partner dei Balcani Occidentali.

I leader Ue hanno convenuto di sostenere le iniziative (in particolare con il Marocco) per prevenire la migrazione illegale nel Mediterraneo Occidentale, dove stanno aumentando gli arrivi irregolari.

I leader hanno inoltre sostenuto lo sviluppo del concetto di piattaforme di sbarco regionali per le persone salvate in mare. Tali piattaforme, proposte dall’Unhcr e dall’Oim, permetterebbero di effettuare in modo rapido e sicuro una selezione tra migranti economici e richiedenti asilo.

“Su base volontaria”, la parola chiave

I capi di Stato o di governo  hanno convenuto che nel territorio dell’Ue coloro che vengono salvati dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati. Tali centri, da istituire negli Stati membri unicamente su base volontaria, consentirebbero un trattamento rapido e sicuro per distinguere i migranti irregolari, che sarebbero rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà. Della riforma del regolamento di Dublino e delle procedure di asilo non si è parlato, rimpallando la questione alla presidenza austriaca.

Soldi a Turchia e Africa

Il Consiglio europeo ha trovato un accordo sull’erogazione della seconda quota del fondo per i rifugiati in Turchia e sul trasferimento al Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa.

Partendo dai ‘buoni propositi’ del Consiglio Europeo in questo dossier proviamo ad analizzare brevemente lo stato di salute di Shengen e le mosse di chiusura di alcuni Stati Europei.

C’era una volta Shengen

Il trattato di Shengen, firmato nel 1985, consente la libera circolazione in Europa. I Paesi che aderiscono sono 26: 22 membri Ue più quattro esterni: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. Regno Unito e Irlanda non hanno mai aderito a Shengen mentre Cipro, Croazia, Romania e Bulgaria hanno sottoscritto la Convenzione che però non è stata resa operativa e quindi mantengono i controlli alla frontiera.

L’accordo di Schengen prevede il movimento di persone, merci e servizi all’interno dell’area Europa e coinvolge oltre 400milioni di cittadini. Il trattato prevede che non vengano effettuati controlli alle frontiere interne dei Paesi interessati, ma solo su quelle esterne.

Per ogni membro è possibile ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere interne nei casi in cui lo ritiene necessario: per minacce per l’ordine pubblico o per la sicurezza nazionale ma anche per mettere argine ai flussi migratori che secondo alcuni sarebbero agevolati da Shengen. Al 2018, i Paesi che hanno ufficialmente ripristinato i controlli interni sono Francia, Germania, Austria, Danimarca, Norvegia e Svezia.

Come recita l’articolo 25 del trattato gli Stati possono “in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera in tutte le parti o in parti specifiche delle sue frontiere interne per un periodo limitato della durata massima di trenta giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera i trenta giorni”. In occasione di “circostanze eccezionali” l’interruzione può arrivare ad una proroga massima di due anni. Durata che il blocco anti-Schengen vorrebbe allungare.

Per fare qualche esempio Schengen è stato sospeso in concomitanza dei vertici internazionali, come in Italia per il G8 di Genova nel 2001, per quello dell’Aquila nel 2009 e per il G7 di Bari e Taormina nel 2017. Lo stesso anche per vari eventi sportivi: in Belgio per gli Europei del 2000, in Portogallo per quelli del 2004, in Austria nel 2008, in Polonia nel 2012 e in Francia nel 2016. La Spagna ha sospeso Schengen per il matrimonio dell’allora principe ereditario Felipe, oggi re. La Norvegia ha ripristinato i controlli per la cerimonia dei premi Nobel nel 2009 e nel 2012. Malta lo ha invece fatto per la visita del Papa nel 2010 e l’Estonia per quella del presidente Usa nel 2014.

Ma terrorismo e migrazione sono diventati i principali motivi di sospensione negli ultimi anni. I confini sono stati chiusi in Norvegia e Svezia nel luglio 2011 dopo la strage nell’isola di Utøy, in Francia fino ad ottobre 2018 dopo gli attentati di Parigi del 2015. Per controllare il flusso di migranti i controlli sono stati reinseriti nel 2015 da Ungheria e Slovenia per qualche settimana. Per questo stesso motivo Shengen è stato sospeso nel 2015, almeno fino a novembre 2018 da Germania, Austria, Norvegia, Svezia e Danimarca (da gennaio 2016). Dai dati della Commissione Europea si rileva che dal 2006 il trattato è stato sospeso 98 volte.

Il pugno duro di Francia, Germania e Austria

La politica dei respingimenti alla frontiera si è intensificata per la Francia dal giugno 2015, quando da Ventimiglia furono rimandati in Italia migranti senza documenti in regola e iniziarono controlli sistematici, 24 ore su 24, anche se espressamente vietati dagli accordi di Schengen, che danno il diritto di eseguire solo verifiche casuali.

In quel caso Parigi accusò l’Italia di essere la responsabile di questi controlli sistematici perché, sosteneva, che non venisse rispettato l’obbligo di identificare i migranti al loro arrivo tramite il rilevamento delle impronte digitali da trasmettere alla banca dati europea per la corretta applicazione dei regolamenti di Dublino.

Non solo a Ventimiglia (Liguria), perché nel 2017 l’attenzione si è spostata più a Nord, nelle montagne della Valle della Roja.  Secondo un rapporto pubblicato nel giugno 2017 dal Controllore generale dei luoghi di privazione della libertà (CGLPL), autorità indipendente francese, la polizia francese di Mentone gestisce i migranti in “condizioni indegne e irrispettose dei loro diritti”. Nel rapporto si rilevano respingimenti sistematici, anche di minorenni. Parlando di Francia e di gestione delle frontiere non si può non citare la ‘Giungla di Calais’ (Francia settentrionale), definita  “la più grande bidonville d’Europa” sgomberata  nell’ottobre 2016.

Nonostante lo sgombero (dal 2015 a giugno 2018 sono state 35 le operazioni di sgombero di campi migranti effettuate dalla Francia) migliaia di migranti tentano ancora di raggiungere la Gran Bretagna. Contro le politiche francesi il 17 e 18 febbraio 2018, associazioni ed avvocati si sono mobilitati alla frontiera franco-italiana per permettere alle persone che si presentano alla frontiera francese di esercitare i loro diritti, nel rispetto della legislazione nazionale, europea ed internazionale. I rappresentanti di associazioni francesi ed italiane, insieme ad avvocati dei due Paesi hanno monitorato la situazione alla frontiera e portato assistenza alle persone respinte dalle autorità francesi permettendo loro di far valere i propri diritti dinanzi al tribunale di Nizza.

“Il ripristino – si legge nel comunicato congiunto – dei controlli alle frontiere interne deciso dal governo francese alla fine del 2015, e regolarmente rinnovato fino ad oggi, non può giustificare la violazione di principi fondamentali quali la protezione dei minori, il divieto di detenzione arbitraria o ancora il diritto d’asilo. Eppure ogni giorno le autorità francesi respingono verso l’Italia minori stranieri non accompagnati, in violazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”.

Gli attivisti hanno poi rilevato che la stazione della polizia di frontiera di Mentone Pont Saint-Louis viene utilizzata come luogo di detenzione. “Questi trattenimenti – si legge – superano la durata massima prevista dalla legge e si verificano in condizioni indegne, senza che le persone private della libertà abbiano accesso ad un avvocato, ad un interprete, ad un medico o a un telefono, in violazione della legge e della sentenza del Consiglio di Stato del 5 luglio 2017”.

Comportamenti simili anche per Austria e Germania. I controlli alle frontiere dei due Paesi erano già ripartiti da tempo ma nel giugno 2018 la polizia tedesca e quella austriaca hanno sancito una collaborazione più intensa al confine italo austriaco del Brennero per contrastare l’immigrazione. Secondo il capo della polizia federale a Monaco Thomas Borowik la decisione è stata presa con “l’intenzione di evitare i molti incidenti che capitano ai migranti, che tentano di attraversare illegalmente i confini”.

Nel 2017, 14.600 persone hanno tentato di superare illegalmente le frontiere, e 7.200 sono state rimandate indietro. Nei primi quattro mesi del 2018 3.800 persone hanno provato a superare le frontiere e 2.100 sono state respinte. Il trend è quindi in diminuzione. I controlli riguardano sia il traffico stradale (camion) che quello ferroviario (treni merci). Il sistema è stato esteso anche al Brennero dove operano pattuglie di polizia composte da agenti italiani, austriaci e tedeschi.

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