Missione tricolore. Soldati italiani nel mondo

a cura di Alice Pistolesi

Mutano gli interessi militari italiani all’estero. E con loro cambiano anche le aree geografiche nelle quali i militari della Penisola saranno impegnati nel 2019.

Il finanziamento delle missioni militari italiane all’estero è scaduto alla fine di settembre 2018 dal momento che il governo Gentiloni le aveva finanziate solo per i primi nove mesi dell’anno.

Nonostante ad oggi, (9 ottobre 2018), non sia ancora stato approvato il nuovo documento presentato dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, per garantire la copertura dei costi fino alla fine dell’anno, alcune delle priorità sono già chiare.

Nei propositi del 2019 qualcosa dovrebbe cambiare. Più Africa, meno Vicino Oriente. Le forze militari saranno impiegate infatti nel Nord Africa (vedi approfondimento 2) e in Niger (vedi approfondimento 1), mentre saranno ridimensionate quelle in Iraq e Afghanistan con un inizio del ritiro dei soldati che, in Afghanistan, sarà comunque di soli cento soldati anziché i 200 previsti del precedente esecutivo (vedi Focus 2).

Il maggiore interesse in Africa si può spiegare con l’obiettivo del governo Lega-5 Stelle di ridurre i flussi migratori consolidando i rapporti militari, con Libia, Tunisia e Niger.

Ma dove si trovano i militari italiani nel mondo?

L’Italia, stando a quanto riportato sul Portale della difesa, è impegnata nel 2018 in 39 missioni di cui 37 internazionali in 24 Paesi.

In Africa l’Italia è impegnata nella missione europea in Somalia (Eutm) e in Mali  e in Egitto nell’ambito della Mfo,  un’organizzazione internazionale per il mantenimento della pace tra la Repubblica Araba d’Egitto e lo Stato d’Israele. Militari italiani sono poi presenti nella base di supporto di Gibuti.

In Europa e nel Mediterraneo, invece, i militari sono impegnati nell’operazione Mare sicuro, nella Eunavformed per l’addestramento della Guardia Costiera libica, in Kosovo, in Lettonia con la missione Nato di ‘contenimento’ russo e, sempre con la Nato in Islanda per assicurare “la difesa dello spazio aereo Nato” nel Paese.

In Asia e in Vicino Oriente, infine, si trova il maggior numero di unità con la missione Onu Unifil in Libano, al confine con Israele e per il mantenimento del cessate il fuoco e la sorveglianza della linea di confine (blu line), in Afghanistan, in Iraq, in Turchia con la missione Nato Sagitta, che contribuisce alla difesa degli spazi aerei e territoriali contro una eventuale minaccia missilistica proveniente dalla Siria e nella Eau al minhad task force air, che opera negli Emirati Arabi Uniti dal 2002.

Il personale impiegato è di 6.190 persone nelle missioni internazionali e 7.190 in quelle nazionali.

(Le fotografie sono tratte dal sito della Difesa)

Partiti per Niamey

Dopo nove mesi di stallo, nel settembre 2018 ha preso operativamente il via la missione militare italiana in Niger (Misin l’acronimo) ed è partita l’operazione di addestramento da parte di esercito, aeronautica e Carabinieri delle forze di sicurezza locali.

La missione si svilupperà a Niamey all’interno della base militare Usa, accanto all’aeroporto. La base operativa per le forze italiane è stata individuata nell’ex fortino della Legione straniera a Madama, al confine con la Libia meridionale, ma si prevede che i militari possano avere all’occorrenza un raggio d’azione che arrivi fino alla Mauritania, al Benin e alla Nigeria. La presenza militare in Niger è limitata a circa 50 unità, ma dovrebbe arrivare a 470 militari nell’arco di un anno, supportati da 130 mezzi terrestri e due aerei.

La ministra della Difesa Elisabetta Trenta ha chiarito tramite la propria pagina Facebook l’obiettivo della missione: “arginare, insieme (alle forze nigerine, ndr), la tratta di esseri umani e il traffico di migranti che attraversano il Paese, per poi dirigersi verso la Libia e in definitiva imbarcarsi verso le nostre coste. Ce l’abbiamo fatta: dopo 8 mesi di impasse abbiamo sbloccato la missione in Niger per il controllo dei flussi migratori!”.

In effetti i militari italiani si dovranno occupare dell’addestramento delle forze di sicurezza locali (forze armate, gendarmeria nazionale, guardia nazionale e forze speciali della Repubblica del Niger) al fine di ridurre i flussi di migranti che si muovono dal Niger per raggiungere la Libia, e quindi l’Italia.

L’operazione in Niger, inclusa nel pacchetto di missioni all’estero approvata dal parlamento a gennaio 2018, era rimasta lettera morta a causa del governo locale. Niamey sosteneva infatti che l’accordo raggiunto in precedenza con l’Italia non prevedeva il dispiegamento di militari italiani nel suo territorio.

Per garantire alla missione di partire l’Italia ha puntato quindi sul sostegno umanitario. Il 19 settembre, dall’aeroporto militare di Pisa è infatti decollato un volo umanitario dell’Aeronautica militare per rispondere alla richiesta di sostegno lanciata dalle autorità sanitarie del Paese. In Niger è infatti in corso un’epidemia di colera, che ha colpito ad oggi circa 3mila persone  provocando 57 decessi. Il volo ha portato a Niamey circa 5 tonnellate di kit di farmaci e presidi sanitari.

Libia e Tunisia, interessi ‘vitali’

Per l’Italia, la Libia e la Tunisia restano due Paesi strategici.  In Libia militari italiani sono stanziati nella missione Ippocrate (partita a settembre 2016).

L’operazione, dal 1° gennaio 2018, è stata riconfigurata all’interno delle attività di supporto sanitario e umanitario previste dalla “Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia”.

La prima versione, più legata all’aspetto medico e di supporto all’ospedale da campo di Misurata, si è conclusa alla fine di dicembre 2017 ma da gennaio 2018 ha avuto una evoluzione.

La nuova missione ha l’obiettivo di sostenere in maniera più attiva, come si legge sul portale della difesa, “le autorità libiche nell’azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento delle attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale, dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, in armonia con le linee di intervento decise dalle Nazioni Unite”.

Si tratta per l’Italia dell’impegno più gravoso: 34 i milioni di euro autorizzati dal Parlamento e circa 400 i militari coinvolti.

In Libia, poi, è prevista la missione di addestramento delle forze che sostengono il governo di Fayez al Sarraj e dovrà affiancare la presenza navale ad Abu Sittah in appoggio alla Guardia costiera di Tripoli. Prevista inoltre la missione interministeriale a Ghat, nel sud del Paese, che dovrà  addestrare la Guardia di frontiera per presidiare cinque valichi della rotta migratoria con Ciad e Niger.

In Tunisia l’Italia è presente sotto egida Nato ed è impegnata nella realizzazione di un sistema di difesa aereo e missilistico, il cosiddetto Air policing. Impegnati in questo caso  250 uomini e 12,5 milioni di euro.

Il decreto del Consiglio dei Ministri, approvato dal Parlamento lo scorso gennaio e da ridefinire, prevedeva però anche una missione chiesta dalla Tunisia alla Nato, per migliorare le capacità di condurre operazioni interforze nel controllo delle proprie frontiere e in chiave antiterrorismo.

Questa prevede l’impiego di circa 60 militari e una spesa complessiva autorizzata di 4,9 milioni di euro.

In virtù di questi accordi Matteo Salvini è stato in visita a Tunisi a fine settembre 2018 con l’obiettivo di bloccare l’immigrazione. “Contrastare – ha detto –  l’immigrazione clandestina è una priorità condivisa dai due Paesi”.

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