Nato, l’alleanza che cerca identità

Un trattato difensivo creato in un determinato periodo storico (il secondo dopoguerra) e con una funzione precisa (difendersi dall’Unione Sovietica). Da quando la Nato è stata concepita ad oggi molto è cambiato.

In questo dossier accenneremo a questioni legate alla storia del trattato, quindi al suo ieri, e a quelle che riguardano l’oggi e il domani dell’Alleanza Atlantica: dall’espansione ad Est con conseguente modifica della struttura originaria, ai rapporti con Russia e Turchia, alla questione dei finanziamenti, all’utilizzo dell’articolo 5, fino alle voci di chi si oppone alla Nato stessa.

Merita però brevemente accennare anche il problema della leadership all’interno dell’Alleanza e della sua mancanza di democraticità decisionale. Il trattato istitutivo non prevede alcun meccanismo di controllo e sanzione verso i propri partner.

Questo in un contesto in cui, secondo molti osservatori, gli Stati Uniti negli ultimi dieci anni hanno dimostrato la totale incapacità di affermare la proprio leadership. Una polemica al centro soprattutto di organizzazioni della società civile

La Nato appare quindi oggi un’organizzazione strategica militare, ufficialmente con scopi difensivi, priva però di una guida e di una forma di controllo interno democratico.

Se da una parte non c’è o c’è poca ‘compattezza Atlantica’ in altri casi però questa non manca. E’ questo il caso del boicottaggio in massa di tutto il gruppo Nato (ad eccezione dei Paesi Bassi) al dibattito e successivamente all’adesione al Trattato di messa al bando delle armi nucleari.

Articolo 5 e investimenti

Il cuore del trattato sta nella clausola di difesa collettiva riportata nell’articolo 5. Il testo ha due interpretazioni: se da un lato si stabilisce che un attacco contro uno Stato Membro sarà considerato come un attacco contro tutti, dall’altro c’è da tenere conto che l’uso della forza militare costituisce solo un’opzione e  che ogni alleato “assisterà la parte o le parti attaccate, intraprendendo immediatamente l’azione che giudicherà necessaria”.

Il trattato fa esplicito riferimento all’esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall’art.51 dello Statuto delle Nazioni Unite.

Fino ad oggi l’articolo 5 è stato richiamato sono nel caso dell’invasione dell’Afghanistan in seguito all’attacco terroristico dell’11 settembre 2011 a New York. Ha segnato così un cambiamento epocale rispetto all’impegno territoriale tradizionale della Nato, sottolineandone una sorta di “sconfinamento”

L’allora presidente George Bush fece appello al testo atlantico per dar vita ad una missione collettiva di reazione all’attacco subito da un Paese aderente al Patto Atlantico.

Per le novità riguardanti il fronte finanziamenti è invece necessario cambiare presidente. Donald Trump ha più volte ‘battuto cassa’ per i finanziamenti all’Alleanza Atlantica, ribadendo la necessità di raggiungere l’obiettivo del 2% di Pil per tutti gli Stati membri.

Soglia che quasi nessuno raggiunge. Nel 2017  23 Stati sui 28 appartenenti all’alleanza non raggiungevano la quota prevista. I cinque migliori alleati del 2016 erano Usa (3,61%, pari a 664 miliardi di dollari), Grecia (2,36%, 4,6 miliardi), Estonia (2,18%, mezzo miliardo), Regno Unito (2,17%, 56,8 miliardi) e Polonia (2,01%, 12,7 miliardi).

L’Italia spendeva nel 2016 l’1,1% del Pil per la Difesa, pari a circa 20 miliardi di euro. Per arrivare al 2%  dovrebbe aumentare gli stanziamenti a circa 37 miliardi, quindi praticamente raddoppiare.

Ma la politica di Trump sulla Nato non è lineare, visto che in campagna elettorale l’aveva definita un’alleanza obsoleta.

Inoltre il presidente non ha esplicitamente espresso sostegno all’interpretazione estensiva dell’articolo 5 del Trattato istitutivo.

L’espansione ad Est

Negli anni la Nato ha in più occasioni confermato la propria politica delle porte aperte arrivando a contare 29 stati membri.

L’atto che sancì la volontà di allargamento è conosciuto come dichiarazione di Bucarest. L’allargamento ad Est iniziò nel 1999 con l’adesione di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca. Un altro passo in questa direzione venne compiuto nel 2004 con l’inclusione di Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria e Romania. Tredici anni dopo la caduta dell’Urss il numero di Stati membri passava da 16 a 26, e i nuovi arrivati erano tutti Paesi dell’Europa Orientale o Centrale. Gli ultimi passi ad Est sono poi stati compiuti nei Balcani con Croazia e l’Albania, entrati nel 2009 e con il Montenegro nel 2017.

L’espansione ad Est della Nato ha creato più di un malumore con la Russia. Sembra infatti lontana anni luce la promessa fatta da Bush Senior a Gorbacev quando assicurava che l’Alleanza non si sarebbe allargata a Est. La pausa di accerchiamento della Russia è diventata sempre più realtà, soprattutto da quando si è iniziato a parlare anche di Ucraina e Georgia come futuri membri, due Stati direttamente confinanti con la Russia.

Il Consiglio Nato-Russia, il tavolo di dialogo creato nel 1997, ha subito più di una battuta d’arresto. La prima nel 2008 con l’azione militare russa in Georgia e la seconda nel 2014 dopo l’annessione della Crimea. Ma i canali del dialogo politico e della comunicazione militare sono stati tenuti aperti.

Oltre alle ‘divergenze’ sulla guerra in Ucraina il sito web della Nato riporta le altre ragioni di attrito verso la Russia: “provocatorie attività militari vicino ai confini della NATO che si estendono dal Mar Baltico al Mar Nero; retorica nucleare irresponsabile e aggressiva, così come i rischi posti dal suo intervento militare e dal sostegno al regime in Siria”.

Ma la Russia non è il solo problema per la Nato. Un membro più che scomodo è infatti la Turchia di Erdogan che soprattutto nel conflitto siriano ha condotto e conduce un ruolo ampliamente criticato da tutti gli osservatori internazionali ai danni della popolazione curda e non solo.

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