Non solo Catalogna: gli indipendentisti europei e mediterranei

Gli indipendentismi non sono affari solo spagnoli. Il Continente Europa e l’area Mediterannea sono infatti interessati, da anni, da movimenti più o meno scissionisti, più o meno autonomi. In alcuni casi (pochi) la risoluzione è stata pacifica e democratica, in altri la questione è sfociata in guerre e conflitti, in altri ancora l’occupazione ‘straniera’ continua da anni.

I referendum della Catalogna e del Kurdistan Iracheno sono due momenti ravvicinati, significativi per la popolazione ma anche grande fonte di preoccupazione per gli Stati centrali. In entrambi i casi, e comunque sempre quando si parla di moti indipendentisti, ciò che si teme è l’effetto domino.

L’iniziativa catalana ha riportato ad esempio, in auge, la questione dei Paesi Baschi che hanno lanciato la proposta, tramite il presidente della comunità autonoma, il lehendakari Inigo Urkullu, di una “riformulazione dello Stato spagnolo” che preveda il riconoscimento come nazione dei Paesi Baschi e della Catalogna tramite un referendum legale e concordato con il governo di Madrid.

Su un altro piano, ma ugualmente preoccupata per l’effetto domino anche la Turchia, che dopo il referendum del Kurdistan Iracheno, teme che lo stesso possa verificarsi anche per la propria popolazione curda, da anni tenuta sotto scacco da Ankara. E di referendum si parla e si è parlato anche nel Regno Unito, che tanto Unito non sembra essere.

Dopo la votazione scozzese del 2014 che vide la sconfitta degli indipendentisti il Paese aveva paventato l’ipotesi di proporre un secondo referendum. Nel marzo scorso gli indipendentisti proposero infatti una nuova consultazione popolare come unico modo per garantire che la Scozia rimanesse nell’Unione Europea dopo la Brexit. Il 63 per cento degli scozzesi, nel referendum sull’Unione Europea, aveva votato contro la Brexit, ma in ogni caso pare ad oggi chiaro che anche la “Scoxitnon sia comunque praticabile.

Un altro referendum sulla secessione dal Regno Unito era poi quello annunciato dal partito nazionalista dell’Irlanda del Nord Sinn Fein. E anche in questo caso c’entra la Brexit.

Sinn Fein era infatti favorevole dell’annessione dell’Irlanda del Nord alla Repubblica di Irlanda dopo che la popolazione del Regno Unito si era pronunciata a favore della Brexit nel giugno del 2016. In quell’occasione la maggior parte degli elettori nordirlandesi aveva votato per restare in Europa.

Un caso di indipendentismo riuscito, citato spesso ad esempio, è quello del Kosovo, che nel 2008 aveva dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia.

Ma per il piccolo Stato dei Balcani esistono ancora problemi, anche diplomatici: la Serbia tuttora non lo riconosce come entità statale, le tensioni interne non si sono placate ed è attiva la missione Onu UNMIKUnited Nations Interim Administration Mission in Kosovo (Missione delle Nazioni Unite per l’amministrazione temporanea del Kosovo)

Tra le situazioni di stallo, poi, c’è ovviamente la Palestina.  “La libertà verrà, è inevitabile. L’occupazione avrà fine o con l’indipendenza dello Stato di Palestina o, se vogliono, con uguali diritti per tutti gli abitanti della Palestina storica, dal fiume [Giordano] al mar [Mediterraneo]”.

A dirlo è stato il 20 settembre il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) durante la 72esima Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Ad oggi le due strade annunciate dal leader di Al Fatah, partito che ha visto il recente riavvicinamento di Hamas dopo dieci anni di scontri interni, non pare però praticabile.

Nulla è stato fatto nella direzione dell’indipendenza palestinese e della fine dell’occupazione militare israeliana.

Curdi e Catalani: i referendum

I referendum del 25 settembre e del  1 ottobre sono due eventi unici per la storia del popolo curdo e dei catalani.

Nel nord dell’Iraq si è votato per l’indipendenza del Kurdistan, ma l’opposizione al Kurdistan indipendente è fortissima a livello internazionale.

I curdi sono divisi tra Iraq, Turchia, Siria, Iran e in piccola parte Armenia, (circa 50 milioni di persone) e mirano da sempre alla creazione di uno Stato indipendente.

Ma il referendum è stato considerato illegale dal governo dell’Iraq e a non volerne riconoscere la legittimità sono anche Turchia Iran, Siria e gli Usa. Sostegno ufficiale è venuto invece dallo Stato di Israele.

Dietro l’opposizione, ovviamente c’è soprattutto la questione economica. Per il governo iracheno l’area di Kirkuk, con i giacimenti petroliferi della zona, deve restare irachena. Nel sottosuolo si nascondono infatti ancora riserve petrolifere per almeno 12-15 miliardi di barili.

Forte opposizione, violenza e una delle crisi più gravi della Spagna moderna sono le conseguenze del referendum catalano del 1 ottobre.

Il voto è stato dichiarato illegale dal governo centrale che ha utilizzato, tramite la Guardia Civil,  la mano pesante della polizia contro gli elettori catalani.

Nonostante  questo,  hanno votato 2,26 milioni di persone (su 7.5 milioni di abitanti), schierate per il 90,09% per il sì all’indipendenza. L’affluenza di voto per il quesito “Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di Repubblica?” è stata del 42,3%.

Il presidente catalano  Carles Puigdemont ha invitato la Ue a smettere di “voltare la testa” di fronte alle violenze della polizia spagnola sugli elettori, in seguito alle quali oltre 800 persone sono rimaste ferite.

Dal referendum, considerato illegale dal governo centrale, la crisi spagnola è precipitata. Da un lato Madrid si è detta pronta a revocare l’autonomia alla Catalogna. Dall’altro, Barcellona pare disposta a tutto pur di rivendicare la secessione. La ricerca di un compromesso fra Madrid e Barcellona è al momento estremamente difficile.

Ad Est: il Nagorno-Karabakh, l’Ucraina e la Cecenia

Aree strategiche e attriti più o meno secolari. Anche nell’Europa dell’Est la questione indipendentista è più che attuale con conflitti ancora aperti, quello ucraino e del Nagorno-Karabakh e una situazione almeno apparentemente in stallo, quella cecena.

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’area contesa è iniziato nel febbraio 1988, quando la regione autonoma del Nagorno-Karabakh ha dichiarato la propria indipendenza dalla Repubblica sovietica dell’Azerbaigian.

Il Paese è monitorato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce).  Dal 1992 si svolgono i negoziati per la soluzione pacifica del conflitto all’interno del gruppo di Minsk dell’OSCE. L’Azerbaigian insiste sulla conservazione della propria integrità territoriale, l’Armenia difende gli interessi dei separatisti, mentre gli indipendentisti del Nagorno-Karabakh non partecipano.

La paura è che scoppi una nuova guerra in quella regione, strategica perché da lì passano gasdotti e oleodotti che riforniscono i mercati di tutto il mondo.

E anche in Ucraina la situazione non è migliorata. I cessate il fuoco sono lettera morta a causa delle azioni aggressive lungo la linea di contatto nel sud-est del paese.

Il conflitto iniziò quando le truppe governative sferrarono un attacco ai miliziani separatisti per riprendere il controllo di una grossa fetta di territorio sfuggita a Kiev e per evitare il ripetersi di quanto successo in Crimea, annessa alla Russia tramite invasione e referendum nel 2014. I separatisti affermano di combattere per la libertà del Donbass, a grossa componente etnica russa e russofona, contro quella che definiscono un’occupazione militare. Da lì le tensioni non si sono mai fermate.

Situazione in stallo, invece quella cecena. Dopo anni di guerre (nel 1994-1995 e 1999-2009) le rivendicazioni paiono oggi bloccate. Per molti osservatori questa tranquillità si deve alla crescita economica della regione, data dall’inflazione creata ad hoc dalla Russia e dalla speculazione edilizia.