Pianeta armato: il rapporto Sipri

a cura di Alice Pistolesi

Dalla fine della guerra fredda mai la cifra spesa in armi nel Mondo era stata così alta.

L’ultimo rapporto del Sipri, Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, ci consegna l’immagine di un Pianeta che non accenna ad arrestare la propria corsa al riarmo.

La spesa militare mondiale totale è arrivata a 1739 miliardi di dollari nel 2017 con un aumento dell’1,1% rispetto al 2016.

Questo incremento non deve comunque stupire e va in una direzione già nota. La spesa militare dal 1999 al 2011 era costantemente aumentata, dal 2012 al 2016 era rimasta invariata per poi tornare ad aumentare nel 2017.

La spesa militare nel 2017 ha rappresentato il 2,2% del prodotto interno lordo (PIL) globale ed equivale a 230 dollari a persona.

A guidare il riarmo la regione euro-atlantica. Secondo Nan Tian,​​ricercatrice del Sipri, “gli aumenti della spesa militare mondiale negli ultimi anni sono stati in gran parte dovuti alla sostanziale crescita delle spese da parte di Paesi in Asia e Oceania e in Medio Oriente, come Cina, India e Arabia Saudita”.

Quando si parla di riarmo e di spesa militare per l’Atlante delle guerre è necessario analizzare anche la direzione nella quale vorremmo andassero le cose, ovvero il disarmo.

E come sempre merita ricordare che il disarmo da solo non basta per garantirsi la pace.

Le guerre si combattono non solo perché si dispone di armi più o meno evolute. Le cause che portano alle guerre stanno nelle ingiustizie sociali, ambientali, economiche. E queste motivazioni portano a combattere, anche senza armi di ultimo modello.

Come dimostrano anche i dati del Sipri molti degli Stati oggi in guerra hanno una spesa militare in diminuzione o comunque estremamente bassa rispetto a Paesi nei quali non si combatte apertamente (vedi approfondimento 1).

Il disarmo  va quindi inserito come elemento importante in un contesto più ampio, che ha come perno il riequilibrio di risorse, di ricchezze, e il rispetto di diritti fondamentali per costruire la Pace.

Chi aumenta e chi taglia

Qualche conferma ma anche alcune positive novità. A fronte dei Paesi che continuano ad aumentare il proprio investimento in armi ce ne sono molti che invece vanno in controtendenza.

Chi ha aumentato la propria spesa è la Romania (del 50% rispetto al 2016), il Gabon (42%), il Benin (41%), il Sudan (35%), il Mali (26%), il Burkina Faso (24%), l’Iraq (22%), Cipro (22%), la Lituania (21%), le Filippine (21%), la Lettonia (21%), la Cambogia (21%), il Venezuela (19%), il Niger (19%) e il Lussemburgo (19%).

Molti però anche quelli che diminuiscono la spesa e tra questi ci sono anche alcune sorprese.

Tra chi ha compiuto tagli ci sono infatti alcuni Paesi con conflitto aperto. Tra questi il Sudan del Sud che ha diminuito l’investimento del 56% e nonostante questo è attraversata da una delle guerre più sanguinose del momento.

La spiegazione, secondo il Sipri, sta nel conflitto stesso, che, portando al peggioramento delle condizioni economiche ha comportato ulteriori riduzioni della spesa militare.

Segno meno anche per il Ciad (-33%), altro Paese monitorato dall’Atlante, e per il Myanmar (-28%) che nell’ultimo anno ha esacerbato il conflitto ai danni della popolazione rohingya. E ancora la Repubblica Democratica del Congo (-14%), che ha attraversato nel 2017 uno degli anni più drammatici del proprio conflitto interno.

Tra gli Stati con il decremento maggiore ci sono poi anche il Perù (-23%), il Mozambico (-21%), l’Oman (-20%), la Russia (-20%), la Costa d’Avorio (-19%), l’Angola (-16%), la Malesia (-16%), il Burundi (-15%), l’Uganda (-15%), il Brunei (-14%) e la Namibia (-11%).

Il caso dell’Angola è emblematico. Per anni il Paese è stato il più grande investitore militare nell’Africa sub-sahariana ma con i tagli è arrivato al terzo posto dietro a Sudan e Sud Africa. Da sottolineare anche il caso della Costa d’Avorio che ha visto nel 2017 il primo decremento dal 2013.

Chi traina la spesa

Per un’analisi più puntuale è necessario suddividere la (mastodontica) spesa totale tra le macro-regioni del Mondo.

Il Sipri rileva infatti che la spesa militare regionale totale è diminuita tra il 2016 e il 2017 in Africa (dello 0,5%) e in Europa (del 2,2%).

Questa diminuzione interessa l’Africa da tre anni consecutivi, mentre per l’Europa si tratta del primo calo dal 2013.  La spesa militare nelle Americhe è rimasta invariata nel 2017.

Allora chi traina l’incremento dell’1,1% rilevato dal Sipri? La risposta va cercata in Asia,  Oceania e nel Vicino Oriente. Nel continente asiatico la spesa è salita per il ventinovesimo anno consecutivo, questa volta del 3,6%. Per i Paesi del Vicino Oriente per i quali sono disponibili i dati la spesa è cresciuta anche nel 2017 del 6,2%.

Da considerare poi quanto pesa la spesa militare sulle tasche dei cittadini. L’onere militare varia infatti ampiamente tra le regioni e tra i Paesi. Secondo il Sipri gli Stati delle Americhe hanno avuto il minor carico militare nel 2017 con una media dell’1,3% del PIL. La percentuale sale all’1,6% in Europa, all’1,7%, in Asia e Oceania, all’1,8% in Africa ma arriva al 5,2% nel Vincino Oriente.

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