Sahel armato

a cura di Alice Pistolesi

Il Sahel* è una vasta area africana che forma di fatto uno snodo cruciale per  traffici illegali di persone e cose e che è composta da Paesi in difficoltà, militarizzati e sostenuti da contingenti militari stranieri, europei in primis. Una situazione che riguarda soprattutto Mali, Niger, Mauritania, Burkina Faso e Ciad, ovvero gli Stati che compongono l’unione G5 Sahel che ha  come obiettivo il coordinamento della cooperazione regionale nelle politiche di sviluppo e di sicurezza nell’Africa Occidentale. L’unione è stata  costituita il 16 febbraio 2014 a Nouakchott, in Mauritania. Il coordinamento è organizzato su diversi livelli. L’aspetto militare è coordinato dai capi di stato maggiore dei rispettivi paesi.

I governi dei cinque Stati hanno deciso la creazione di un fondo fiduciario di circa 423 milioni di euro. La forza G5 Sahel ha il comando a Sevarè, in Mali. L’Unione si coordina con la missione Onu, Minusma.

La cooperazione regionale attivata dai Paesi del Sahel è per certi versi inedita perché punta a lavorare su più fronti. Onu ed Unione Europea (vedi chi fa cosa) hanno lanciato più appelli per il sostegno economico dell’Unione.

Secondo i dati del Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) riportati nel database delle spese militari che contiene le serie temporali sulla spesa militare per il periodo 1949-2017, il primato per spesa militare nella regione va al Mali. Nel 2017 il Paese ha speso 461 milioni di dollari, incrementando la spesa del 2016 che ammontava a 362 milioni.

Al secondo posto si piazza il Ciad ma con una nota positiva. Nel 2017 il Paese ha infatti speso 210 milioni di dollari, molti meno che nel 2016 quando erano 310.

Al terzo posto c’è il Niger con una spesa di 200 milioni nel 2017, era di 166 nel 2016. Segue il Burkina Faso con 191 milioni nel 2017, rispetto ai 146 del 2016. Il database non riporta i dati del 2017 per la Mauritania, che nel 2016 aveva investito in armi 136 milioni di dollari.

* Il Sahel è una convenzione geografica e politica (non amministrativa) che comprende diversi Stati africani: Gambia, Senegal, la parte sud della Mauritania, il centro del Mali, ilBurkina Faso, la parte sud dell’Algeria e del Niger, la parte nord di Nigeria e Camerun, la parte centrale del Ciad, il sud del Sudan, il nord del Sud Sudan e l’Eritrea.

Mali al centro

Esercito in crescita, missioni Onu ed europee in corso, schieramento di contingenti stranieri: il Mali è un Paese fortemente militarizzato anche per via del recente conflitto nel Nord. La Pace firmata nel giugno 2015 con la mediazione di Francia e Algeria prevedeva, tra le altre cose, il disarmo di tutte le milizie, ma alcune di queste rimangono ancora attive.

Difficile dire a che punto sia il riarmo nel Paese. Nell’ottobre 2014 le forze speciali francesi intercettarono nella zona desertica a nord del Niger un camion con tre tonnellate di armi pesanti (principalmente sistemi antiaerei e cannoni) provenienti dal sud della Libia e dirette verso il nord del Mali. Il sequestro era il chiaro sintomo di un riarmo senza precedenti nella regione. La Russia ha invece fornito all’esercito del Mali alcuni elicotteri d’attacco Mil Mi-35M. L’accordo era stato siglato in occasione del Salone AAD-2016 Africa Aerospace & Defence Expo, la fiera aerospaziale e della difesa che si svolge ogni due anni in Sud Africa.

In Mali prosegue la missione Onu Minusma, avviata nell’aprile del 2013 con il compito di sostenere il processo politico volto a ristabilire la pace nel Paese. Nel quadro delle attività di stabilizzazione i rappresentanti della Minusma provenienti dalle file della polizia assistono le diverse forze dell’ordine maliane allo scopo di rafforzarne le capacità e consigliarle nell’adempimento dei loro compiti quotidiani o in materia di formazione.

La missione è guidata dalla Danimarca. La componente militare di Minusma, con una forza autorizzata di oltre 13mila uomini di 57 Paesi, si compone di osservatori militari, funzionari di staff e personale schierato nelle principali città maliane tra cui Kidal, Gao, Timbuctu, Mopti.

Molto attiva in Mali anche l’Europa che nel 2018 ha raddoppiato l’investimento per la missione di addestramento militare (EUTM) che proseguirà fino al 2020.

La missione riunisce militari di Mali, Ciad, Burkina Faso, Mauritania e Niger ma rimane finalizzata all’addestramento e non al combattimento. Con la missione quasi 11mila soldati sono Stati formati dai militari europei e otto gruppi di forze speciali sono Stati addestrati e impegnati in combattimento.

La missione, all’epoca denominata Servant, è nata nel 2013 con l’obiettivo di equipaggiare il Mali di uno strumento di difesa contro il terrorismo. La prima missione nel Paese nacque con lo scopo di contrastare il Califfato che, prima di Iraq e Siria, aveva trovato nel Mali un luogo fertile in cui nascere ed espandersi in alleanza con i Tuareg.

Nel Paese è poi schierata la PSDC Sahel Mali, che “sostiene gli sforzi dello Stato maliano volti a garantire l’ordine costituzionale e democratico, ad attuare le condizioni per una pace duratura e a mantenere la sua autorità su tutto il territorio”.

Attiva anche la EUCAP Sahel Mali, una missione civile dell’Unione europea con base a Bamako. La missione mette a disposizione della polizia, della gendarmeria e della guardia nazionale del Mali, oltre che dei Ministeri interessati, “esperte ed esperti in materia di formazione e consulenza strategica per sostenere la riforma del settore della sicurezza”. Secondo il sito web collegato “la missione è anche un elemento centrale della strategia regionale dell’UE per la sicurezza e lo sviluppo nel Sahel”.

Nel 2016 il centro di ricerca CAR (Conflict armament research) ha mappato le migliaia di armi arrivate in Africa dopo la disfatta libica. Nel documento si legge che molte di queste sono arrivate in Mali alimentando la guerra interna tra il 2012 e il 2015. Più documenti sottolineano che gli arsenali di Gheddafi, dopo la sua caduta, sono diventati fonte per i traffici illeciti anche dell’Africa occidentale. Migliaia di cartucce, con destinazione Mali, sono state sequestrate in Niger.

In questo contesto di incertezza il Paese si prepara alle elezioni presidenziali. Il presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita si è ufficialmente candidato per le elezioni del 29 luglio, dove correrà per una coalizione che raggruppa circa settanta partiti politici.

Ha invece fatto un passo indietro Dioncounda Traoré, che avrebbe dovuto rappresentare Adema (Alleanza per la democrazia in Mali), la terza forza politica del Paese.

Niger, il crocevia

Il Niger, come il Mali, è un Paese abituato a vedere in giro per le proprie città un gran numero di militari. Francia e Stati Uniti sono presenti in varie forme, dai droni ai militari che stazionati in zone strategiche del Paese. Ad esempio dove passano e transitano i migranti. In Niger è poi schierata la missione europea EUCAP Sahel Niger, che “sostiene la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo in Niger”.

In effetti il traffico in Sahel ha come snodo il Niger. Esseri umani, droga e armi, soprattutto quelle leggere, sono i protagonisti di questo smercio.Il Niger è diventata la via principale del traffico di esseri umani dopo il caos libico. Secondo l’Europa la tratta di esseri umani è una minaccia per la stabilità del Paese.

Per questo il 13 dicembre 2017 è nata da un accordo tra Italia-Francia-Germania (e definita ufficialmente, “il primo sviluppo di una concreta strategia di difesa europea”) la missione in Niger. Scopo della missione sarebbe quello di combattere il traffico di migranti diretto in Libia e addestrare le forze armate e di polizia locali. Altro compito sarebbe poi quello di controllare un’area strategica al confine con la Libia, operando dalla base avanzata francese di Madama.

La missione è stata annunciata al termine del G5 Sahel, un incontro che si è tenuto a Parigi tra i capi di stato e di governo di Francia, Germania e Italia e quelli dei cinque paesi del Sahel, ma Niamey per due volte ne ha fermato la preparazione affermando che il suo Paese non ne era a conoscenza.

Il Niger, assieme ai Paesi dell’Ecowas (Economic Community of West African States)  ha attivato un’apposita convenzione sulle Salw, le armi di piccolo calibro e leggere, divenuta esecutiva dal settembre 2009.

Il  documento “Misurare flussi illeciti di armi: Niger” redatto dal Global Partership in small arms, ha esaminato i flussi illeciti di armi in Niger nel contesto degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. L’obiettivo 16.4 considera infatti “i flussi illeciti di armi come impedimento allo sviluppo sostenibile e invita gli Stati a raggiungere una significativa riduzione di tali flussi”.

Il documento rileva che negli ultimi anni il Niger è servito come rotta di transito per le armi che circolano nella regione. Ma ci sarebbero anche delle buone notizie. Secondo la rilevazione del documento, il governo sta lavorando per migliorare la situazione, anche se i dati non sono abbastanza completi per valutare i progressi compiuti nell’attuazione dell’obiettivo. L’Italia è coinvolta nella missione militare ma l’invio di soldati, votato dal parlamento nel gennaio 2018, si è fermato per la netta opposizione del governo nigerino.

Tags: