Ricordo di un massacro

Ventitre anni fa a Srebrenica vennero uccisi oltre 8mila maschi musulmani. Il punto più oscuro di un conflitto. Da non dimenticare

di Elia Gerola
Migliaia di persone si sono recate ieri al cimitero di Potocari, alle porte della cittadina, dove sono sepolte le salme delle 8372 vittime di quello che è forse il più triste capitolo, anche se non l’unico, delle efferatissime violenze che caratterizzarono le guerre di dissoluzione della ex Jugoslavia comunista. Ventitre anni fa, tra il 12 ed il 19 luglio 1995 veniva perpetrato il tragico massacro di Srebrenica.

Ratko Mladic il boia di Srebrenica

Nel 1993 le truppe delle Nazioni Unite avevano preso il controllo della cittadina, sita nella Bosnia Erzegovina orientale, a pochi chilometri dal confine con la Serbia, in una stretta enclave. L’Onu decise di crearvi una cosiddetta “safe area,” ovvero una zona posta sotto la sua protezione sia militare che umanitaria, che avrebbe permesso di trovare ristoro e protezione. Il principio era quello del “peace enforcement,” ovvero dell’imposizione della pace, tramite un operazione che ammetteva anche l’impiego della violenza, non vi erano cessate il fuoco da far rispettare, semplicemente persone disperate e perseguitate da proteggere.

Quello era l’intento. Però la cittadina finì ben presto sotto assedio delle forze serbo-bosniache guidate da Radko Mladic, un ex ufficiale dell’esercito jugoslavo. Così gli eventi di quel luglio precipitarono e videro l’esiguo contingente delle Nazioni Unite, composto da 429 soldati di origine olandese, arrendersi alle truppe oppositrici. La conseguenza fu la deportazione di circa 30 mila, tra donne e bambini, ed il massacro sistematico e rapido di più di 8000 uomini bosniaci di religione mussulmana, poi gettati in fosse comuni. Era una strage, un crimine di guerra e contro l’umanità: parte di una polizia etnica, quella perpetrata dalle forze serbe a scapito della comunità mussulmana locale.

Molto è stato scritto a proposito di questo drammatico eccidio: le ragioni della resa furono innumerevoli, in particolare l’esiguità numerica dei soldati dell’Onu, incapaci di poter sostenere un conflitto; uno scarso coordinamento tra il comando olandese e i vertici, la mancanza di un rapido sostegno esterno. Fu proprio l’episodio di Srebrenica che avrebbe poi dato luce verde alla Nato per bombardamenti a tappeto culminati nell’Operazione Deliberate Force del 1995.

La congiuntura storico politica era quella delle guerre di secessione jugoslave degli anni ’90, quando prima Slovenia e Croazia, poi Bosnia Erzegovina in seguito ad un referendum, ed infine Kosovo vennero attraversate da conflitti inter-etnici che videro operazioni di pulizia etnica e in generale altri crimini di guerra frequenti ai danni dei civili locali. Fatti questi ultimi, poi accertati e giudicati dalla Corte Penale Internazionale istituita ad hoc.
In Bosnia la minoranza serbo-bosniaca, con l’appoggio del generale serbo Milosevic e sotto la guida politica di Radovan Karadzic, si contrappose a quella musulmana. Il generale Ratko Mladic, al comando delle forze serbo-bosniache e denominato anche “boia di Srebrenica”, venne arrestato solo nel 2011, dopo ben 15 anni di latitanza. Il processo a suo carico si tenne a l’Aja – che giudicò anche Karadzic nel 2016 – dove nel 2017 è stato condannato in primo grado all’ergastolo. Karadzic ha avuto 40 anni.

Da notare sono ancora due eventi. Nel 2002 il governo olandese di Wim Kok, dopo la pubblicazione da parte dell’istituto NIOD di un rapporto che accertava le responsabilità indiretta degli olandesi e le criticità coordinative a livello internazionale, sottolineando l’evitabilità del massacro, si dimise in blocco. Solo nel 2010 invece, il Parlamento della Serbia, ha chiesto formalmente scusa alla comunità internazionale per il Massacro di Srebrenica, dove almeno 8372 persone persero la vita.

Nell’immagine le 8372 lapidi di Potocari: per non dimenticare il massacro di Srebrenica.

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