Siria, dagli Ottomani agli Asad. E oltre

copertina del libro di Lorenzo Trombetta
copertina del libro di Lorenzo Trombetta
Siria, dagli Ottomani agli Asad. E oltre. MONDADORI Università

[dropcap][/dropcap]Raccontare oggi la Siria gettando uno sguardo alla sua storia, al suo passato, ad un tempo lontano, agli inizi del ‘900, ben prima della “primavera del 2011”, è questo ciò che Lorenzo Trombetta, giornalista corrispondente dal Libano per l’ANSA e analista di affari siro-libanesi per Limes (vedi http://www.sirialibano.com/) ha voluto fare per i lettori italiani con il libro “Siria, dagli ottomani agli Asad. E oltre” edito da Mondadori.  Un libro che fa il punto sul complesso scenario di un Paese e del suo popolo in cerca di una nuova identità, e di una nuova economia, un grande Paese mediorientale che tenta di superare un difficile, tormentato ciclo storico iniziato con il dominio della potentissima oligarchia facente capo alla famiglia Asad.

Da quanto tempo lei si occupa della Siria?

Me ne occupo dal 1998. Da ben prima cioè che la maggior parte dei commentatori e degli osservatori internazionali iniziassero a far conoscere il Paese a causa della rivolta popolare contro il regime degli Asad.  Ho pensato: se non ora quando? Ho pensato: è arrivato il momento di mettere insieme i pezzi del complicato puzzle siriano perché abbiamo, noi giornalisti e noi studiosi, un dovere etico-morale: non solo informare ma far conoscere in maniera approfondita.

Dunque, qual è la situazione attuale della Siria, gli ultimi sviluppi della crisi in quella regione mediorientale?    

Innanzitutto, a me piace – e credo che sia giusto farlo – parlare di “varie Sirie”. Nella Siria centrale ad esempio la guerra civile sta andando avanti da molto più tempo che in altre regioni del Paese e da ben prima che i media attribuissero l’espressione di “guerra civile” a quello che era ed è un  vasto fenomeno di violenza armata interna. Come mai questa specificità della Siria centrale? Beh perché a differenza di altre regioni c’è una composizione comunitaria a “macchia di leopardo”, una composizione non omogenea che naturalmente espone a facili stati di tensione tra le varie appartenenze. Oggi, in quella zona il conflitto tra comunità di matrice confessionali diverse si è radicato e ha assunto un carattere molto drammatico. Fuori dalla Siria centrale si può parlare più correttamente, e ancora, di “repressione militare” da parte delle milizie della famiglia degli Asad contro la popolazione locale. Mi riferisco in particolare alla zona della città di Daraa, nella Siria meridionale, che nel marzo 2011 è stata tra le prime ad esplodere. Per lungo tempo solo le milizie governative hanno sparato e la risposta armata dei civili è ancora oggi di resistenza difensiva.

Ma come mai le proteste si sono concentrate in particolare modo nelle zone rurali a maggioranza sunnita?

Negli ultimi dieci anni quelle zone sono state gradualmente trascurate sia dal punto di vista economico che sociale. Sono cominciati a mancare i servizi. Non che prima in quelle zone si  vivesse in una condizione di assoluto benessere. Tuttavia, il Regime aveva sapientemente gestito la situazione conquistando, non sempre e non soltanto con le buone maniere, il favore della popolazione, anche cooptando al potere le elite locali. Poi, con Bashar Al Asad, negli ultimi dieci anni, qualcosa è cambiato. Il Presidente e la sua oligarchia hanno avidamente concentrato le ricchezze del Paese nelle proprie mani, a Damasco e ad Aleppo, trascurando le altre regioni che, tra l’altro, hanno dovuto fronteggiare la siccità e altre calamità naturali che hanno accelerato l’impoverimento economico e, dunque, il malcontento profondo e inedito contro Damasco. Tutto questo, nel contesto della “primavera araba” del 2010-2011… è bastata davvero una goccia a far traboccare il vaso siriano. La risposta violenta del Regime, poi, ha aggravato tutto.

Quale futuro immagina per gli Asad in Siria, se immagina che quella famiglia avrà ancora in mano le redini del Paese…?

Nel sottotiolo del mio libro ho scritto “Dagli ottomani agli Asad”. E poi ho aggiunto “E oltre”. Ecco, il regime degli Asad in parte è già caduto. In alcune regioni del Paese siamo già in una situazione di post-Regime. Nelle coscienze e nelle menti di tanti siriani siamo già in un dopo. Anche se sul terreno, dal punto di vista militare, non si è andati ancora oltre la violenza. A lungo termine, auspico che la Siria arrivi ad una maturità politica inedita. Non sarà facile e non sarà subito perché c’è la pillola amara dello jihadismo, del fondamentalismo islamico, del salafismo. Secondo me queste manifestazioni di oscurantismo religioso sono un colpo di coda, l’eredità velenosa che ha lasciato il Regime dopo lunghi decenni di dittatura feroce, di morti, di esilio degli oppositori. Se tiene a mente questo, in un paese islamico cosa possiamo aspettarci? Che l’Islam, giocoforza, diventi un elemento identitario sempre più radicale e che le organizzazioni islamiste facciano il loro gioco, investendo molto, per aver il diritto di portare la bandiera del Paese.

E al di là delle fazioni organizzate su base partitica o religiosa, in Siria è possibile concepire l’idea di una società civile che aspiri ad un’economia libera e ad uno Stato laico moderno e democratico?

 Si sta scoprendo il pluralismo politico e dell’informazione. Ma la situazione è ancora troppo frammentata. Ci sono parti del paese che sono ancora schierati lealmente con gli Asad e che credono nel Regime e nella Siria tradizionale. L’economia siriana è un’economia di guerra. Attualmente è puntellata dagli aiuti della Russia e dell’Iran. I cinesi stanno  aiutando con contanti e in altre forme gli Asad. Mentre gli Usa con Obama hanno fatto capire che non intendono intervenire direttamente.

 

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