Uganda, le contraddizioni di una fragile pace

Di Raffaele Crocco da Kampala.
Kampala è una città che cresce. Il problema è che cresce ogni giorno, in fretta. Nel 2002 gli abitanti erano poco più di un milione e duecentomila: adesso sono 2milioni e mezzo, in quartieri poveri, che cercano comunque una logica, un ordine. Il traffico sta mangiandosi tempo e vite. Nell’ora di punta può servire un’ora per due chilometri di strada.
A far crescere ancora di più la popolazione in questi giorni sono i militari. Si stanno acquartierando lentamente, chiamati dalla periferia. Sono il segno della tensione politica, cattiva, dura, legata al risultato elettorale: in febbraio ha rivinto le presidenziali l’inossidabile Yoweri Musevenil. Ufficialmente avrebbe vinto con il 60% delle preferenze, ma sembra crederci solo lui. Gli osservatori internazionali parlano di brogli e di campagna elettorale intimidatoria. Gli avversari hanno presentato ricorso alla Corte Suprema, con il risultato di finire agli arresti domiciliari. Kizza Besigye,  che ha raccolto il 30% dei voti, è accusato di voler destabilizzare il Paese diffondendo risultati falsi. L’altro candidato presidenziale Amama Mbabazi, ex primo ministro del Paese, non sta meglio.
A fine marzo dovrebbe arrivare la sentenza della Corte. Non sembra in grado di annullare il voto, ma l’esercito – schierato con Museveni – per precauzione ha occupato la capitale, quasi a voler far capire che tutto va bene, tutto è come deve essere.
Fuori dalla capitale, le cose sembrano più semplici, la politica più lontana. È un Paese che cambia in fretta, questo. Dopo il Niger è il luogo al mondo con la maggior crescita demografica. Il tutto si traduce nel fatto che l’Uganda è sostanzialmente un Paese di giovani. Giovani che hanno bisogno di scuole, di lavoro, di tutto. E piano piano le cose si muovono. Il reddito pro capite è cresciuto. In molte zone sono arrivate luce e strade, quasi sempre grazie ai cinesi, come sempre aggressivi e onnipresenti in Africa.
A Koboko, nel West Nile, nel nord, all’incrocio con il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo, la corrente elettrica è arrivata da qualche settimana. Da qualche mese c’è anche la strada asfaltata, che porta fino ad Arua e all’aeroporto.
In pochissimo tempo, lungo la strada sono cresciute botteghe e banchetti. Sono aumentate le vendite di moto, modelli 100 di cilindrata, tutti uguali prodotti – inutile dirlo – in Cina o in India. Costano un patrimonio: quasi mille euro. Una follia per gente che incassa, se va bene, poco più di due euro e mezzo al giorno. Eppure le moto aumentano, come le merci nel mercato. Agricoltura e infrastrutture: qui puntano su quello per crescere e stabilizzarsi. La paura è che torni la guerra. Le tensioni politiche sono solo una parte. Qui vicino c’è il confine con l’instabile Sud Sudan, che riversa migliaia di profughi in Uganda. In dicembre, poi, per questioni di sconfinamento i due eserciti si sono presi a fucilate. Ora tutto sembra tranquillo. Ma è una tranquillità sempre troppo fragile.

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