Bleiburg, strage senza giustizia

La commemorazione di un'orribile avvenimento del 1945 - che ancora chiede risposte - è diventata occasione di polemiche e propaganda di nostalgie fasciste

di Edvard Cucek

Il 15 maggio del 1945 nei pressi della città di Bleiburg (Carinzia-Austria) avvenne la resa totale di circa 100.000 soldati in fuga dalla Croazia e dalla Bosnia appartenenti all’esercito dello Stato fantoccio croato conosciuto dal 1941 al 1945 come “Stato Indipendente Croato”. Stato fondato, nominalmente, da Ante Pavelić, criminale di guerra e fondatore del movimento nazifascista croato conosciuto come Ustascia (Ustaša), fuggito prima in Austria e poi via Roma in Argentina. Non fu mai processato dai tribunali in quanto, dopo la scoperta del suo nascondino in Argentina, si rifugiò nella Spagna di Franco dove morì nel 1959.

A questi soldati croati e musulmani vanno aggiunti circa 20.000 soldati tra cetnici serbi e combattenti di Bela Garda (Guardie Bianche slovene). Come documentato – ed è fuori ogni dubbio – alla ritirata dei soldati delle forze collaborazioniste si sono uniti anche i semplici cittadini. Tante famiglie croate (e non solo) non necessariamente e strettamente legate al movimento degli Ustascia, ma vittime di una propaganda che non lasciava tanto spazio per sperimentare cosa sarebbe successo dopo la conquista del territorio di un ex Stato Indipendente Croato da parte dei partigiani e/o comunisti. In sostanza i nazifascisti croati, con l’aiuto di una potente macchina propagandistica, riuscirono a convincere un numero non indifferente dei civili croati, ma anche dei musulmani bosniaci, di partire con loro verso l’Austria dove si sarebbero arresi alle forze militari britanniche.

La pressione era forte e la paura delle conseguenze da pagare per i crimini commessi dagli Ustascia verso chiunque all’epoca avesse convinzioni diverse, per non parlare di appartenenza etnica o religiosa, alla fine vinse. Le lunghe colonne dei civili, anche completamente estranei alla politica di Ante Pavelić (inizialmente presente tra i fuggiaschi) e dei suoi sostenitori, convinte dalla propaganda politica di partire verso la salvezza dopo la caduta dello Stato fantoccio croato NDH partirono insieme ai soldati. tra i quali non mancavano dei veri mostri, assassini e criminali, autori di atrocità. Avere il maggior numero dei civili (possibilmente minorenni, anziani e malati) tra le proprie “falangi” serviva per dimostrare ai vincitori della guerra che la loro causa era sostenuta da tutti i cittadini.

La Grande Fuga del  “Comandante”

Prima dell’arrivo nei pressi della Piana di Loibach “Il comandante supremo” ossia Poglavnik, come Pavelić voleva essere chiamato, lasciò la colonna e insieme al figlio e 4 alti funzionari scappò verso una destinazione sconosciuta. La fuga faceva parte di un piano abbastanza preciso. Pavelić aveva preso in affitto un castello vicino a Hinterstein (Austria), utilizzato dalla nobiltà per la caccia, e là lo aspettava la moglie con alcuni collaboratori e con 15 camion pieni di valori rubati e spediti prima della sua fuga. Anche i servizi segreti americani dopo la scomparsa “improvvisa” di Pavelić erano a conoscenza della sua dimora temporanea ma non fecero nulla.

Gli altri, poco più di 200.000 persone (secondo lo storico croato Ivo Goldstein) erano circa 116.000 soldati croati, 60.000 civili croati, 17.000 soldati delle forze collaborazioniste serbe e slovene e circa 10.000 di civili sloveni). Furono stati lasciati nelle mani del generale britannico Patrick Scott. Questo ufficiale si rifiutò di accettare la lettera della resa totale delle forze collaborazioniste militari, civili compresi, consegnatagli direttamente dal generale dell’esercito degli Ustascia Ivo Herenčić. Anzi, Scott rispedì la lettera della resa – senza nemmeno aprirla – direttamente a Belgrado al Maresciallo Tito. I prigionieri invece, sia civili sia soldati, finirono nelle mani di Milan Basta, commissario politico della 51nnesima divisione dell’Esercito Jugoslavo di Vojvodina. Per loro fu il peggio che potesse succedere.

I documenti storici disponibili testimoniano che verso questo fiume dei prigionieri i partigiani di Tito furono poco clementi. D’altronde è innegabile che tra 1944 e 1945, fino al maggio dello stesso anno, tutti i soldati delle formazioni collaborazioniste venivano invitati diverse volte di aderire al Movimento popolare della Liberazione di Tito per poi passare a combattere fianco a fianco con i partigiani per sconfiggere il nazifascismo. Tanti lo fecero e tanti no. Dopo l’ultimatum, avvertito una sola volta tramite i megafoni che invitava ad esporre le bandiere bianche e che ebbe la scarsa risposta, seguì una mitragliata sui prigionieri, civili e militari accerchiati, che durò tra 10 e 20 minuti. Come testimoniano i sopravvissuti l’esito fu più di mille morti. La Piana di Loibach non è il vero luogo delle fucilazioni dei prigionieri. La maggior parte di loro saranno uccisi durante il ritorno da dove sono partiti oppure morti camminando verso i campi di prigionia fino al Sud della Macedonia. Il numero totale dei morti e scomparsi fino ad oggi non è stato accertato.

Periodo della Jugoslavia socialista

Nel periodo della Jugoslavia di Tito qualsiasi commemorazione, anche delle vittime civili, era proibita. Dal 1991, in concomitanza con la proclamazione della Repubblica di Croazia come Stato indipendente dalla Federazione jugoslava, per la prima volta sulla – Piana di Loibach – potevano celebrare le messe anche i rappresentati della Chiesa cattolica della Croazia e i suoi cittadini potevano partecipare. Tutti tranne il primo presidente della giovane Repubblica di Croazia Franjo Tudjman. Nonostante non perdesse occasione per nominare gli enormi sacrifici e la “via crucis del popolo croato” a Bleiburg, lui per motivi fino ad oggi sconosciuti all’opinione pubblica, non si è mai recato a Bleiburg durante le commemorazioni annuali.

Dopo 27 anni di celebrazioni delle messe “per le vittime delle stragi compiute dai partigiani di Tito”, come si sottolinea solitamente, l’anno scorso il permesso per esse è stato negato. Prima la Congregazione della Chiesa cattolica della Diocesi di Carinzia in Austria con un secco rifiuto e poi anche il Ministero degli Interni austriaco con avvertimenti e divieti disponibili anche sul loro sito web.

La posizione della Chiesa cattolica 

“Il veto” da parte degli intransigenti vescovi di Carinzia riguarda il permesso alla Congregazione della Chiesa cattolica Croata di commemorare le vittime sulla Piana di Loibach o altri luoghi nei pressi di Bleiburg. La decisione non è stata presa all’improvviso. Le voci provenienti dai vertici della chiesa cattolica da quelle parti da qualche anno in modo molto schietto avvertivano che le commemorazioni sono ormai un atto politico con accentuati toni di revisionismo e glorificazione del nazifascismo. In diversi modi agli organizzatori negli anni precedenti è stato contestato il fatto che a Bleiburg si commemora sempre di più un’ideologia di odio piuttosto che le vittime più o meno innocenti.

Contemporaneamente sono iniziati espliciti avvertimenti anche da parte del Ministero degli Interni austriaco in seguito agli arresti nel 2018 di qualche alto esponente del partito al governo (Unione democratica Croata) HDZ eseguiti dalla polizia austriaca. Dal primo marzo di quest’anno gli austriaci hanno pubblicato sul sito del Ministero tutti i simboli, saluti e bandiere, 13 in totale, soggetti in Austria a una multa dai 4000 ai 10 000 euro. Oltre alle multe vi è il rischio di essere immediatamente allontanati dalla manifestazione oppure di essere arrestati. Così la simbologia degli Ustascia da poco si trova accanto a quella dell’Isis, Terzo Reich, Hezbollah e altri.
Da diversi anni le commemorazioni vengono contestate sempre di più sia dalle associazioni antifasciste nell’intera regione della ex Jugoslavia, sia da quelle austriache. Proprio per il fatto che la maggioranza dei giustiziati erano dei membri delle forze collaborazioniste nazifasciste comandate da Ante Pavelić. Si pone però a domanda: come distinguere le vittime civili da quelli che in vari modi si meritavano almeno un processo? Resterà compito impegnativo per gli storici.

In copertina un’immagine dell’epoca: Una colonna di Ustascia  e rifugiati croati vicino a Pliberk.Il cartello indica Bleiburg

Nel testo dall’alto: Ante Pavelic, il maresciallo Tito e, più sotto,  Pavelic con Mussolini 

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