Cosa ci dice oggi la memoria di quel 25 Aprile

A proposito della polemica sul riarmo dell'Ucraina che ha investito l'Anpi andrebbe ricordato che  i partigiani combattevano per liberare l’Italia dal fascismo e dall’occupante nazista ma volevano anche  costruire un Mondo in cui “non servissero più le armi”

di Raffaele Crocco

Sarà la Festa della Liberazione e della confusione, di questo possiamo essere certi. Sarà la festa in cui alcuni – che si chiamano progressisti e democratici – dichiareranno che altri – che si definiscono democratici e progressisti – sono fiancheggiatori della dittatura. Lo so, avete capito benissimo di cosa si parla. Siamo sul tema della guerra in Ucraina, di quanto sia giusto o meno l’invio di armi ai resistenti ucraini. E’ curioso come un elemento importante del naturale e legittimo dibattito politico sia diventato, in un Paese come il nostro – che ha la Costituzione che ha – ragione di isteria collettiva, pari a quella, per cattiveria e intelligenza, che colpisce le tifoserie di Inter e Milan per un gol annullato nel derby.

Ora, in un Paese democratico – nel senso di un Paese che esclude per principio l’esistenza di un “pensiero unico” – sarebbe normale discutere, anche in modo acceso, sulla legittimità di inviare o meno armi all’Ucraina attaccata da un dittatore fanatico come Putin. Il dibattito, che dovrebbe essere pubblico, aperto e condiviso, dovrebbe poi portare i partiti, che sono associazioni di cittadini, a decidere se va fatto l’invio o no. Il tutto nelle sedi preposte, ad esempio il Parlamento e nel rispetto di posizioni che sono comunque legittime, anche se non le condividiamo. No, non succede. Succede che una parte di Mondo, chissà perché, decide di diventare paladina del riarmo. Facendolo, mette la corazza e considera istantaneamente nemici e “pro dittatura” tutti coloro che invece pensano che le armi generino solo altra guerra e non la pace. Questo grido di guerra viene lanciato – così lo si legittima mica poco – in nome e per conto della lotta partigiana, dei valori della Costituzione e della democrazia. Ma siamo certi che sia così?

Sarebbe interessante, ad esempio, se si riflettesse con maggiore attenzione sul fatto, testimoniato dalle lettere, dai racconti dei giovani e delle giovani che andavano a morire, che i partigiani combattevano per liberare l’Italia dal fascismo e dall’occupante nazista con l’idea e il desiderio di costruire un Mondo in cui “non servissero più le armi”. La nostra Costituzione è stata disegnata su questo principio e mi viene il sospetto che si rispettino maggiormente i valori della Liberazione puntando al disarmo e alle soluzioni negoziali, piuttosto che alla guerra.

Mi spiace poi scoprire che viviamo ignorando una realtà di fondo, creata da una situazione che viviamo anche oggi. Voglio dire che i nostri morti per la Resistenza, in fondo, sono morti per colpa non solo dei nazisti e dei fascisti. Responsabili della loro morte sono anche tutti coloro che fra il 1919 e il 1922 non fecero nulla per evitare che un re inversamente criminale rispetto alla propria altezza e un farabutto che si fingeva capopopolo, stracciassero ogni parvenza di democrazia e instaurassero una dittatura feroce durata 23 anni.  I partiti che non frenarono questa caduta, i politici che pensarono al fascismo come male minore rispetto all’insorgenza dei movimenti operai e socialisti, gli opportunisti che si girarono dall’altra parte, sono storicamente responsabili della morte dei nostri partigiani, esattamente come i repubblichini e i nazisti che li uccisero negli anni della Resistenza.

Dico questo, perché la storia si ripete spesso e il far niente quando si potrebbe evitare il disastro – per poi strepitare, agitarsi e sistemarsi la coscienza distribuendo armi – è la specialità della casa italica e di un certo numeroso gruppo di “partigiani da divano letto”. Sono quelli che negli otto, lunghi anni di guerra in Ucraina – quella costata già 13mila morti e centinaia di miglia di sfollati – hanno evitato di parlare e, soprattutto, di aiutare gli ucraini. Sono gli stessi che non parlano dei campi di contenimento dei migranti in Libia, finanziati con soldi pubblici. Campi, ricordiamolo, che stanno ai valori della resistenza come il fascismo sta alla democrazia. Sono quelli che mentre gridano “alle armi, alle armi” per Kiev, dimenticano i morti delle altre guerre, le ingiustizie dei contratti di lavoro italiani, le miserie di uno stato sociale che cade a pezzi mentre si decide di rendere ciclopico il nostro esercito.

Insomma, la Festa della Liberazione è la giornata in cui ricordiamo chi ci ha liberato dal fascismo e dal “pensiero unico”. Il modo migliore che abbiamo per onorarla è continuare a discutere fra di noi, sostenendo le nostre tesi, confrontandoci e decidendo poi, con gli strumenti della democrazia, che fare. Tutto questo rispettandoci, senza insulti, senza isterie. La democrazia, se ci pensiamo, è la capacità di coltivare il dubbio. Il nostro e quello degli altri.

In copertina un tesserato Anpi alla Marcia della pace di ieri

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