288 milioni al giorno per mantenere la bomba

Costi atomici per le armi nucleari. La campagna internazionale, Move the Nuclear Weapons Money, propone di destinare questi soldi a programmi pro-disarmo.

di Elia Gerola.

Dal 24 al 30 ottobre a New York, Londra, Città del Messico, Philadelphia e Wellington, le realtà aderenti alla campagna internazionale “Move the Nuclear Weapons Money” stanno organizzando conferenze, e tavoli di dialogo tra la società civile e i decisori politici, chiedendo che la via del disarmo nucleare passi dall’essere una mera prospettiva ideale, a concreto punto dell’agenda politica globale.

La campagna, spulciando i bilanci dei programmi di difesa mondiali, mira a stimare l’entità dei finanziamenti che permettono il mantenimento delle oggi 13 mila testate nucleari e alimentano l’indotto pubblico-privato che le circonda: dalla ricerca di base, allo sviluppo dei loro vettori. Il fine è quindi quello di mostrare e rivelare l’incidenza di queste voci di spesa sui bilanci pubblici nazionali. Le cifre presentate sono a dir poco significative. E’ infatti stato calcolato che negli ultimi 10 anni, un trilione di dollari verrà speso in programmi militari legati al nucleare. Una cifra enorme, coerente con i dati forniti nel 2011 dall’associazione Global Zero che stimava come annualmente 105 miliardi di dollari americani venissero dedicati a spese nucleari militari e come quindi ogni ora, il mantenimento, l’ammodernamento e la produzione degli arsenali nucleari costino globalmente all’incirca 12 milioni di dollari.

Secondo la campagna, lanciata ormai 3 anni fa, nell’ottobre 2016, in occasione della 135esima Assemblea dell’Unione Interparlamentare, dal Basel Peace Office, dall’International Peace Bureau, dalla World Future Council e dall’Associazione Internazionale dei Parlamentari per la non-proliferazione nucleare ed il disarmo esisterebbe un’evidente problema di costo opportunità. In altre parole tutti questi miliardi di dollari potrebbero essere impiegati per realizzare e rendere sostenibili politiche sociali maggiormente distributive, sostenere ad esempio la transizione verso uno sviluppo maggiormente sostenibile e promuovere un modello industriale ed economico alternativo. I fautori della campagna non ignorano infatti l’argomentazione principe di coloro i quali si oppongono al disarmo che ne sostengono l’insostenibilità economica e in termini di occupazione. Oltre a questioni strategiche e di sicurezza internazionale non va infatti sottovalutato il giro di interessi economici e politici sottostanti l’indotto nucleare. L’industria bellica è dotata di potenti lobbisti, ma anche di un asset formidabile, quello di dare lavoro a migliaia di persone con professionalità differenti, dai ricercatori universitari, agli analisti strategici, sino agli operai specializzati.

Come sottolineato da Move the Nuclear Weapons Money però il problema è risolvibile semplicemente cambiando destinazione ai finanziamenti già presenti ed oggi dedicati al mantenimento, ampliamento e rinnovamento degli arsenali. Con essi infatti si potrebbero realizzare lo smantellamento delle testate, la riqualificazione del personale e la creazione di indotto industriale indipendente dal nucleare bellico. Insomma, con i soldi attualmente investiti si potrebbero implementare politiche strutturali di riconversione e transizione industriale.

La logica proposta è inoltre che affrontare il problema del disarmo dal mero punto di vista ideale/normativo può infatti non portare grandi frutti, troppi sono gli interessi pubblico-privati in gioco. Da una parte il rischio della disoccupazione, che si somma al conseguente spettro dell’insoddisfazione popolare e quindi della non-rielezione dei politici che avrebbero causato la situazione legiferando a favore del disarmo. Non solo: le masse poi rischierebbero di essere insoddisfatte, ma anche le potenti lobby dell’indotto industriale, che finanzia campagne elettorali,sostiene

la fondazioni che allude a una certa politica. Una soluzione potrebbe però essere quella di elaborare una strategia di disarmo olistica e di lungo termine, che non pretenda di essere realizzata istantaneamente, ma che risulti piuttosto un processo, fondato su tappe precise, scadenze prestabilite, obiettivi e modalità chiari dall’inizio alla fine.

La campagna Move the Nuclear Weapons Money coniuga quindi l’aspetto idealistico del disarmo nucleare con l’evidente convenienza economica di un mondo “nuclear-zero”. Quest’ultima emergerebbe dall’evidente convenienza economica sia di convertire l’industria bellica attuale in un indotto pacifico sostenibile, che di allocare le risorse attualmente investite in spese nucleari in politiche sociali redistributive a maggiore utilità sociale. Insomma, come disse il Segretario Generale Onu Ban Ki-Moon: “Il mondo è troppo armato e la pace è sotto finanziata”. Che il disarmo sia dunque un bene comune a prescindere dagli interessi economici non vi è dubbio, che però necessiti di un buon piano economico per essere implementata è altrettanto certo. Il punto è che conviene e che i soldi vi sono già, basta solo “muoverli”.

Ma cosa si potrebbe fare con il trilione di dollari, ovvero i 1 miliardo di miliardi di dollari destinati per i prossimi 10 anni all’industria militare? Ecco alcuni esempi, in questo razzo di parole fornito dalla campagna:

Fonte principale, il sito della campagna: http://www.nuclearweaponsmoney.org/

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