di Gianna Pontecorboli da New York
A un’Europa tesa e spaventata per la guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente, quello che accade in una piccola isola dei Caraibi può spesso sembrare lontano. Gli ultimi avvenimenti a Haiti e l’impotenza dell’Onu e delle organizzazioni umanitarie nell’aiutare concretamente la sua popolazione, tuttavia, raccontano una storia allarmante per tutti e che non merita di essere ignorata. Di fronte alla violenza crescente delle gang che stanno terrorizzando i civili dopo l’uccisione oltre tre anni fa del suo ultimo presidente Jovenel Moise, infatti, perfino gli operatori umanitari sembrano essersi rassegnati a una bruciante sconfitta.
Dall’inizio dell’anno, la situazione si è progressivamente aggravata e le bande criminali, sostenute anche da alcuni politici e da alcuni gruppi imprenditoriali, hanno alzato il tiro nel tentativo di destabilizzare il paese. A poco a poco, i principali quartieri della capitale Port-au-Prince sono caduti sotto il loro controllo, impedendo agli aiuti umanitari di giungere a destinazione. All’inizio del 2024, le bande hanno attaccato con successo le carceri e alcune istituzioni pubbliche e gli scontri con la popolazione si sono intensificati. All’inizio di novembre, l’aeroporto e’ stato chiuso al traffico commerciale dopo che le gang hanno attaccato alcuni aerei americani e pochi giorni dopo i gruppi armati hanno preso di mira anche Petion-ville, uno dei quartieri periferici della capitale considerati ancora sicuri e in cui si erano installate diverse istituzioni umanitarie private e e parecchi uffici diplomatici e delle Nazioni Unite. Le cifre, nell’ultimo anno, hanno parlato da sole. Secondo i calcoli oltre 4500 persone sono morte a causa degli scontri e più di 700.000 hanno dovuto abbandonare la propria casa. Solo durante l’ultima settimana, le vittime sono state 150 e circa 20.000 persone hanno dovuto lasciare la propria abitazione.
”La violenza senza fine delle gang e la diffusa insicurezza approfondiscono la dura crisi umanitaria, compreso l’impatto di una severa scarsità di cibo e acqua e la diffusione delle malattie infettive in un momento in cui il sistema umanitario e’ sull’orlo del collasso” ha spiegato Volker Turk, alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani,”Si stima che quattro milioni di abitanti di Port-au-prince siano praticamente tenuti in ostaggio poiche’ le bande controllano ora tutte le strade principali dentro e fuori la capitale ”. Tra le vittime piu’ colpite, soprattutto le donne che subiscono violenza e i bambini costretti sempre più spesso ad arruolarsi nelle bande criminali.
Di fronte a una situazione fuori controllo, sia l’Onu che le organizzazioni umanitarie sono state costrette a rivedere con amarezza le loro posizioni per non mettere a rischio il proprio personale. ”Noi non ce ne andiamo” ha assicurato pochi giorni fa il vice portavoce delle Nazioni Unite Farhan Haq,”Continuiamo a sostenere il popolo e le autorità haitiane, con un’assistenza umanitaria fondamentale e sostegno politico per assistere gli sforzi guidati da Haiti per portare a termine con successo la transizione politica”. “Vogliamo accelerare e intensificare l’aiuto umanitario a Haiti. E richiederà accortezza e creatività ” gli ha fatto eco Ulrika Richardson, coordinatore umanitario dell’Onu. I fatti, pero’, raccontano una storia molto diversa.
La Multinational Security Support mission, la missione di polizia internazionale creata con il finanziamento degli Stati Uniti (nella foto di copertina) e composta prevalentemente di ufficiali provenienti dal Kenya, si è dimostrata con il passare dei mesi totalmente insufficiente per portare a termine il suo compito. Giusto la settimana scorsa al Consiglio di Sicurezza il veto della Cina e della Russia ha pero’ bloccato la proposta americana di creare una vera forza di pace, una soluzione che incontra tra l’altro molta ostilita’ all’interno di Haiti. Pochi giorni dopo, è stata Medici senza Frontiere a rassegnarsi all’inevitabile.
”Una serie di minacce da parte delle forze di polizia contro il personale di Medici senza Frontiere ci ha costretti a sospendere le nostre attività fino a nuovo avviso nell’area di Port-au-Prince”, ha fatto sapere con un comunicato l’organizzazione medica,”i ripetuti incidenti ci hanno costretto a interrompere le ammissioni e i trasferimenti di pazienti nelle nostre cinque strutture mediche nella capitale di Haiti a partire da 20 novembre”. Dopo gli attacchi a Petion-Ville, l’Onu ha cominciato, senza fare troppo rumore, a rimpatriare o a spostare in zone di Haiti più sicure molto del personale delle sue diciotto differenti agenzie, dall’Unicef al World Food Program. Nella capitale, mentre gli elicotteri portano via a pccoli gruppi il personale in fuga, sono rimasti solo ben pochi alti diplomatici delle maggiori ambasciate e un piccolo nucleo di funzionari della missione BINUH, la missione politica delle Nazioni Unite. ”Tutti gli haitiani pensano di essere stati abbandonati dal Mondo intero.”, ha osservato con amarezza parlando con il New York Times il dottor Wesner Jacotin,” Forse se fossi in un paese straniero e pensassi che la mia vita e’ in pericolo scapperei anch’io. Ma cosa succederà a quelli che non possono andarsene?”