di Andrea Cegna
Città del Messico – Il 23 novembre il Ecuador ha segnato il primo anno del governo di Daniel Noboa. Il 36enne, membro di una delle famiglie più ricche del Paese e rappresentante del potere corporativo ed oligarchico, ha fatto un po’ quello che ci si aspettava: ha provato a dare una stretta autoritaria al paese e accelerato progetti neo-liberali. E come ci si poteva aspettare si è scontrato con le forme di resistenza, urbana e rurale, che segnano la Storia del Paese. Davide Matrone, docente italiano a Quito, ricorda che “si è garantita la libertà delle privatizzazioni e si è privilegiato il settore privato a quello pubblico. Ha continuato nella riduzione della spesa pubblica dello Stato e con il discorso della “riduzione dello stato. Ciò a favorito i settori bancari, le banche, il settore privati, quello immobiliare, le concessionarie d’auto. Insomma tutto ciò che è modello neoliberista”. Tutto ciò, continua Matrone, è andato “a discapito del settore pubblico, della salute, dell’educazione, dell’infrastrutture. Del mantenimento e della manutenzione, che è stata poca e scarsa, delle centrali idroelettriche. Questo è alla base dei black out” che hanno colpito il Paese”.
L’agenzia di stampa spagnola EFE riassume l’anno di governo come “un periodo segnato da molteplici crisi: la violenza della criminalità organizzata, contro la quale ha dichiarato un “conflitto armato interno”; la crisi economica, per la quale ha adottato misure impopolari; la crisi esterna, aperta con il Messico dopo aver attaccato la sua ambasciata; la crisi interna, quando ha affrontato la sua vicepresidente Verónica Abad; e la crisi energetica, con blackout che duravano fino a quattordici ore al giorno”. Una fotografia tutt’altro che positiva che solo in parte viene riabilitata aggiungendo che Noboa “ha preso le redini del Paese quando la violenza della criminalità organizzata era già salita a livelli senza precedenti, facendo dell’Ecuador il Paese con il più alto tasso di omicidi dell’America Latina nel 2023, registrando 47,2 ogni 100.000 abitanti, otto volte di più rispetto al 2016″.
Nel frattempo, dice ancora EFE, “il deficit fiscale era balzato a quasi il 5% del prodotto interno lordo (PIL) con un buco di circa 4,8 miliardi di dollari, mentre si erano iniziati a registrare blackout programmati a causa dell’incapacità di soddisfare la domanda nazionale di elettricità nei periodi di deficit idrico”. La crescita della violenza ed il suo discorso che riprendeva quello di Bukele, Presidente del Salvador, sono stati il volano della sua vittoria. Francesco Martone aggiunge che “è stato un anno negativo economicamente, socialmente, culturalmente. Noboa non è un politico di vecchia data. Dopo il banchiere Lasso (ex Presidente del paese che non è arrivato alla fine del suo mandato) ora in Ecuador c’è un Presidente imprenditore. Da tempo qui non governa la politica o non quella con P maiuscola ma sono gli affari, gli interessi e gli uomini di business in stile Berlusconi”.
Il 9 febbraio del prossimo 2025 ci saranno le nuove elezioni presidenziali. La sensazione, e paura, diffusa è che il governo del Presidente sia stato tutto orientato alla sua re-elezione, e che le “tattiche” in materia di sicurezza cercassero di replicare quanto fatto, a costo di cancellare diritti umani e libertà di espressione, da Bukele in Salvador. Sensazioni confermate dall’analista politico Decio Machado “dal giorno del suo insediamento, Noboa ha fatto campagna per la sua rielezione”. Il Presidente ha più volte detto che 18 mesi non erano sufficienti per sviluppare il suo piano di governo e che per farlo doveva essere ri-eletto ma Machado evidenzia che non c’è persona in Ecuador che sappia “quale sia il suo piano di governo, perché il piano di governo presentato da Noboa è in realtà generico. E’ evidente assistiamo ad una logica di crisi indotta in materia di energia e a un deterioramento generalizzato dei servizi pubblici con un discorso improntato alla privatizzazione dei servizi”.
La militarizzazione del Paese e la “lotta” al crimine organizzato, come succede in Salvador e Messico, diventano uno strumento di governo de territorio. Proprio per questo Machado ricorda che le politiche del governo “si suppone combattano la criminalità. Lo stato di eccezione permanente limita la possibilità di riunione, limita la libertà di comunicazione e di espressione, limita anche, diciamo, la libertà di abitazione, delle persone, e così via. In questo contesto, i movimenti sociali hanno ovviamente visto diminuire la loro capacità di mobilitazione. Nonostante la storia e l’attività degli ultimi anni i movimenti sociali hanno mantenuto un basso profilo. Certamente ci sono state proteste sociali, ma ad ogni manifestazione indetta ci sono state minacce da parte del ministro degli Interni in congiunto con l’esercito e la polizia nazionale”.
A pochi giorni dal “primo compleanno” di governo di Noboa una protesta massiccia che per le strade di Quito si è riempita delle grida “Noboa fuori”, “Noboa, pupazzo di cartone, hai lasciato l’Ecuador senza elettricità” è stata duramente repressa ed è costata diversi arresti. La mobilitazione è stata indetta da diversi sindacati di lavoratori, insegnanti, studenti e organizzazioni sociali, anche se Monica Palencia, la ministra degli interni, avesse “ricordato” che stato di emergenza “limita temporaneamente i diritti alla libertà di associazione e il diritto all’inviolabilità”. La risposta di organizzatori e organizzatrici è stato netta “lo stato di emergenza dovrebbe servire a combattere il traffico di droga e la delinquenza; noi lavoratori e organizzazioni non siamo delinquenti, non siamo trafficanti di droga”. A pochi mesi dalle elezioni in Ecuador l’emergenza non è solo economica ma anche democratica come sta capitando in molti paesi del continente dove in nome di una supposta sicurezza, anche sociale, si stanno lasciando da parte molte altre cose.