Parate e referendum

Difendere le istituzioni repubblicane vuol dire anche andare a votare e non solo guardare sfilare un esercito

di Raffaele Crocco

Ci saranno anche loro, ovvio. Saranno, impettiti come sempre, con l’aspetto marziale di chi assiste ad una parata militare. Saranno con il piglio istituzionale di chi presenzia a una cerimonia. Saranno li’, a festeggiare la Repubblica nata dalla Costituzione democratica e dalla volontà di un “popolo sovrano” che assomiglia sempre più ad un suddito. Ci saranno anche se da settimane predicano l’astensione dai seggi. Da giorni, con naturalezza e brio, quasi fosse cosa ovvia, scherzosa e naturale, dicono – a quel popolo sovrano, che vogliono suddito – di non andare a votare per rendere vuoti e fallimentari i cinque quesiti referendari. E’ in questa frase e in questo atteggiamento l’aspetto contraddittorio e drammatico di questo 2 giugno 2025. E’ un giorno di festa, quella della Repubblica Italiana, che arriva poco prima del voto per il referendum abrogativo sulle norme per il lavoro e la cittadinanza.

I referendum, tutti e da sempre, sono parte integrante della Costituzione che ha fondato la nostra Repubblica. Lo sono perché danno ancora più spazio, più voce e più possibilità al popolo. Non sono un incidente, un caso, un regalo, una concessione o peggio una svista. Sono sostanza democratica, che si manifesta attraverso il gesto “fisico” e cosciente dell’andare a votare.

Chi dice “non andate a votare”, spiegando che questa scelta “è legittima” dice una verità tecnica – nessuna norma vieta l’astensione –  che nasconde, però, una mostruosità democratica. Non andare a votare significa suicidare lo spirito della “democrazia popolare diretta”, che resta – parallelamente al voto democratico di rappresentanza, quello che dovremmo usare per eleggere i parlamentari o i consiglieri locali – lo scheletro della nostra Costituzione.

Certo, c’è chi spiega che, in fondo, proprio i costituenti non credevano al referendum abrogativo come strumento democratico, tanto da aver previsto un quorum per poterlo considerare valido. E’ una interpretazione che sfiora l’idiozia: proprio perché è fondamentale andare a votare, esiste il quorum. Serve per portare consapevolmente la gente ai seggi, pena l’inutilità dell’operazione. Il quorum dovremmo considerarlo, come dire: la certificazione della nostra serietà di cittadini e, quindi, di elettori.

Probabilmente, l’8 e 9 giugno non sarà così. Sarà l’ennesimo passaggio a vuoto della nostra claudicante e invecchiata democrazia. Diventerà il nuovo buco nero, capace di far sparire – lentamente, inesorabilmente – la nostra costituzione. E intanto, loro, quelli del “non andate a votare” il 2 giugno saranno lì impettiti, a mettere corone, pronunciare discorsi e a vedere sfilare baionette e carri armati. Tutta roba che, con la nostra Costituzione e la nostra Repubblica, c’entra poco.

In copertina, immagine dal sito dell’esercito

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