9 maggio: la Vittoria che non c’è

Nessun accenno allo stato delle trattative di pace, passo avanti o indietro nelle strategie militari, né chiarimenti sugli obiettivi della guerra: cosa è successo nel giorno della sconfitta del nazismo

di Giovanni Mennillo

Doveva essere il giorno dei grandi annunci di vittoria, della mobilitazione nazionale e della dichiarazione di guerra all’Ucraina, ma il 9 maggio è stato unicamente il solito quadretto nazional-popolare, la mise en place di una Russia eroica preda di un Occidente famelico, la sfilata del putinismo rampante. Ieri a Mosca si è celebrata la Festa della Vittoria nella quale si ricorda la sconfitta della Germania nazista, un giorno che da mesi è cerchiato di rosso nel calendario della guerra in Ucraina. Eppure sembra si sia rimasti al 24 febbraio: nessun accenno allo stato delle trattative di pace, nessun passo avanti o indietro nelle strategie militari, né chiarimenti sugli obiettivi della guerra, ma solo la ridondante giustificazione di una “decisione forzata, tempestiva e l’unica giusta” fatta da un “Paese sovrano, forte, indipendente” a cui l’Occidente aveva portato “una minaccia assolutamente inaccettabile”.

Putin denuncia la sordità dei paesi Nato alle legittime paure securitarie, quindi accenna vagamente a notizie di imminenti “operazioni punitive” in Donbass e di una invasione “delle nostre terre storiche” come la Crimea, infine alla possibilità che Kiev acquisisse il nucleare. Ma è il non-detto a dirci molto, a spiegare chiaramente che al momento la guerra parla solo il linguaggio delle armi, che gli obiettivi sono poco chiari e vanno di pari passo alle operazioni sul campo.
Quello di Putin si riduce quindi ad un discorso motivazionale per radunare il popolo intorno alla bandiera e fornire la basi ideologiche a questa guerra, così come al suo regime.

II conflitto in Ucraina viene schiacciato anacronisticamente sul 1945, ne diventa una caricatura, viene armato di significati esistenziali e catastrofici: “La difesa della Patria, quando si decideva il suo destino, è sempre stata sacra” è l’incipit con cui Putin apre ad un grande pastrocchio storico dove i militanti del Donbass sono paragonati ai veterani del 1945, ma anche al generale della prima guerra mondiale Alexey Brusilov, agli eroi del passato zarista e della Rus’ di Kiev, mentre la guerra in Ucraina viene paragonata alle battaglie della Seconda Guerra Mondiale, a quelle napoleoniche o seicentesche. La Grande Guerra Patriottica viene paragonata alla ‘de-nazificazione’ ucraina, non solo in termini di salvezza della Russia, ma anche in termini morali, come lotta contro un male storico: “È nostro dovere – ha detto Putin – conservare la memoria di coloro che hanno schiacciato il nazismo, che ci hanno lasciato in eredità il compito di essere vigili e di fare di tutto affinché l’orrore di una guerra globale non accada più”. Putin omaggia anche gli eserciti occidentali alleati, un ponte che permette solo di condannare l’odierno ‘collaborazionismo’ con Kiev, dove la Russia combatterebbe “i neonazisti, sostenitori di Bandera, su cui puntavano gli Stati Uniti e i loro partner”. Così ai soldati: “State combattendo per la Patria in modo che non ci sia posto nel mondo per carnefici, punitori e nazisti”. Sui i social russi sono moltissimi i video che più o meno esplicitamente alternano i veterani del 1945 all’esercito con la ‘Z’.

Un discorso che fa molta presa sulla popolazione, convinta di una guerra difensiva e di una Russia accerchiata. II trauma storico della Grande Guerra Patriottica è stato infatti sapientemente usato da Putin come vettore di orgoglio e di nazionalismo. Lo si evince esplicitamente anche nel discorso di ieri, dove gli eroi della Grande Guerra Patriottica sono accumunati ai “martiri di Odessa”: “Oggi difendete ciò per cui hanno combattuto i vostri padri, i vostri nonni, i vostri bisnonni. Per loro, il senso più alto della vita è sempre stato il benessere e la sicurezza della Patria. E per noi, loro eredi, la devozione alla Patria è il valore principale.

Nella parata del putinismo non poteva mancare la costruzione della Russia come baluardo contro il “degrado morale” dell’Occidente, uno scontro di civiltà di cui la guerra sembrerebbe solo un episodio: “La Russia ha un carattere diverso. Non rinunceremo mai all’amore per la Patria, alla fede e ai valori tradizionali, ai costumi dei nostri antenati, al rispetto per tutti i popoli e le culture”. È stata, poi, un’immagine altamente simbolica vedere il presidente russo deporre i fiori sulle lapidi commemorative dei caduti in guerra nelle varie città dell’Urss, tra cui c’era anche Kiev, ora sotto suo attacco. Le commemorazioni del 9 maggio, un tempo simbolo dell’unità dei popoli sovietici liberi dal nazismo, sono ovviamente diventate un simbolo divisivo nel mondo post-sovietico, e ieri, forse, questo aspetto è stato più marcato: in Polonia manifestanti hanno lanciato vernice rossa contro l’ambasciatore russo durante le celebrazioni, in Moldavia, dove erano stati vietati i simboli della ‘Z’ e del nastro di San Giorgio, le opposizioni filorusse hanno sfidato la legge e hanno celebrato la giornata. Nelle zone occupate dai russi in Ucraina si sarebbero tenute celebrazioni fortemente valorizzate dalla propaganda social filo-russa, a esempio a Mariupol e Kherson, ma senza parate militari.

Il presidente ucraino Zelensky ha fatto invece da controcanto al discorso di Putin in due diversi video: “Sta ripetendo oggi gli orribili crimini del regime di Hitler, seguendo la filosofia dei nazisti e replicando tutto quello che hanno fatto”; poi in un video fortemente emozionale per le strade di una kiev deserta: “Stiamo lottando per la libertà dei nostri figli e quindi vinceremo. Molto presto ci saranno due giornate della vittoria in Ucraina”.

Tra Putin che giustifica la sua guerra e Zelensky che annuncia la sua vittoria, le uniche parole che sembrano buttare acqua sul fuoco sono quelle di Emmanuel Macron il quale evidenzia come da Putin “non ci sia stata escalation verbale”: il presidente francese invoca quindi la tregua, smarcandosi dalle posizioni oltranziste della Nato e mettendo la Francia alla testa di un fronte europeo del compromesso. Sembra all’opposto non casuale la scelta del 9 maggio da parte di Joe Biden per la firma di una legge sull’invio di nuove armi a Kiev, accompagnate dalla provocatoria dicitura ‘Ukraine Democracy Defense Lend-Lease Act del 2022’, e basata sul “programma della Seconda guerra mondiale per aiutare l’Europa a resistere a Hitler”. Quello di ieri, forse è il caso di dirlo, è stato l’esempio più plastico di come sia poco storico usare a Storia per fare la guerra.

*In copertina un fermoimmagine del video della parata diffuso dal Cremlino

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