Caos nella Repubblica Centrafricana

Un processo elettorale difficile e contestato si unisce all'estrema insicurezza. Poche aree del Paese sono sotto il controllo del rieletto presidente Touadéra

Le elezioni presidenziali del 27 dicembre 2020 hanno fatto ripiombare la Repubblica Centrafricana nel caos. Prima e dopo il voto si sono infatti verificati scontri in varie città e le violenze continuano ancora oggi. Il Paese si è trovato quindi a fare i conti con un processo elettorale difficile, rigettato e ostacolato dalla coalizione di gruppi di opposizione, in una condizione di estrema insicurezza. Nella giornata di giovedì 14 gennaio alcuni gruppi armati ribelli sono entrati entrati nella capitale Bangui, sparando e seminando panico. Cinquanta di loro sono stati uccisi dall’esercito governativo e altri sono stati arrestati.

Come ci si aspettava il presidente uscente Faustin Archange Touadéra è stato rieletto senza sorprese lunedì 4 gennaio con il 53,92% dei voti espressi. L’opposizione era frammentata in sedici candidati, ma solo l’ex primo ministro Anicet Georges Dologuélé ha ottenuto un dignitoso 21,01% dei suffragi. L’affluenza dichiarata è stata del 76,31%, ma il dato è sicuramente fuorviante visto che è stata calcolata sulla base di circa 910mila aventi diritto al voto, mentre gli elettori sono circa 1,8milioni. Inoltre solo poco più della metà della popolazione, quella dei territori controllati dal governo, ha potuto votare: cosa che ha scatenato le contestazioni e provocato il blocco del voto in molti seggi. Touadéra era stato eletto la prima volta nel 2016 ma solo la capitale, Bangui e poche altre zone sembrano ad oggi essere effettivamente sotto il suo controllo. Nel nord del Paese e a Nord Ovest della capitale ci sono intere città controllate da milizie e gruppi armati.

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L’insicurezza estrema continua ad essere una piaga nella Repubblica Centrafricana, nonostante la presenza di oltre 12.500 Caschi blu della missione Onu Minusca, affiancati dai soldati francesi e dai russi che sostengono il governo nazionale e che coltivano da anni i propri interessi economici nella Rca. Secondo le ultime stime di UNHCR, l’ultima ondata di violenza ha spinto circa 30mila persone a cercare rifugio oltre i confini, in Repubblica Democratica del Congo, Camerun e Ciad. A questi si aggiungono altre decine di migliaia di sfollati interni.

“È ancora difficile avere un quadro esatto dei numeri e delle conseguenze di questa fase di tensione – sottolinea Andrew Njoke, capomissione della ong Intersos a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana – Molte aree sono ancora difficilmente raggiungibili a causa delle attività militari. Sicuramente stiamo assistendo a un nuovo, massiccio sfollamento. In un paese che già conta oltre 600mila sfollati interni, questo significa un ulteriore peggioramento della già fragilissima situazione umanitaria”.

Anche l’attività umanitaria di Intesos, attiva nel Paese dal 2014, ha subito limitazioni in alcune aree, in particolare a Bouzoum e a Kabo, dove si sono verificati vari attacchi, fortunatamente senza conseguenze per i civili. Nonostante l’accordo di pace siglato nel 2019, la Repubblica Centrafricana vive ancora le conseguenze del conflitto iniziato nel 2013 tra i gruppi armati riuniti sotto il nome di Seleka, rappresentativi dei gruppi musulmani, e anti-Balaka, cui fanno riferimento i gruppi cristiani. Un conflitto alimentato da ragioni economiche e sociali che esacerba la situazione di uno dei Paesi con il più basso indice di sviluppo umano (171mo su 177 paesi al mondo).

*In copertina una foto fornita da Intersos

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