La sfida di Cuba

Cambio della guardia, fine della doppia moneta, orgoglio vaccinale. Dove va l'isola orfana dei Castro. Analisi di un futuro difficile

di Gianni Beretta

La recente conclusione dell’VIII° Congresso del Partido Comunista Cubano, in simbolica coincidenza con il 60° anniversario della fallita invasione della Baia dei Porci, ha posto fine a Cuba all’era dei fratelli Castro. Scomparso il lider maximo Fidel nel novembre 2016, anche l’ormai novantenne Raul ha lasciato l’incarico di segretario generale, dopo aver abbandonato tre anni fa la guida del governo.Gli è succeduto il sessantenne Miguel Diaz Canel che sommerà entrambe le cariche. Lui che, alla cacciata del tiranno Batista da La Habana ad opera dei barbudos nel ‘59, non era ancora nato. Oltre allo svecchiamento, la direzione del partito ha ridotto pure la rappresentanza di membri della Fuerza Armada nel burò politico; all’insegna comunque del “Somos Continuidad”.

Un cambio generazionale che si compie in un contesto assai difficile per Cuba; sola più che mai dopo la fine degli aiuti dal Venezuela e precipitata in un’economia letteralmente di sopravvivenza. Cui si è aggiunta la pandemia che ha paralizzato il turismo nella Perla de las Antillas, unica vera fonte di entrata di moneta forte. Senza contare poi l’inasprimento dell’embargo degli Stati Uniti di Trump che ha azzerato le aperture dell’amministrazione Obama (che portarono, grazie anche ai buoni uffici di papa Francesco, allo scambio di ambasciate). Mentre Biden, al di là di aver tolto Cuba dalla lista degli “stati terroristi” (dove era ridicolmente reinserita), non è ancora chiaro che atteggiamento assumerà.-

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Per far fronte alla crisi già dal gennaio scorso Diaz Canel ha varato una serie di riforme, a partire dalla fine dell’artificiosa circolazione della doppia moneta; oltre a un graduale processo di privatizzazioni nella direzione di un’economia reale sempre meno sussidiabile. Sono stati alzati i salari ma i prezzi sono cresciuti molto di più. Il problema è che mancano i prodotti, anche di prima necessità.

Il tutto in un quadro politico a partito unico dove le giovani generazioni scalpitano manifestando i loro malumori sui social (che nell’isola, va detto, non soffrono di particolari restrizioni) all’insegna del “patria libre y vivir”, in antitesi al “patria libre o morir” rivoluzionario. Come il Movimiento (culturale) San Isidro, represso nel novembre scorso quando intraprese uno sciopero della fame contro la censura e l’arresto di uno di loro. Penuria e controllo sociale, alla lunga, sono difficilmente sostenibili. Come le proteste giovanili.

Più volte la Cuba castrista è stata data per spacciata. Soprattutto dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica con i suoi quasi settant’anni di socialismo reale, piuttosto andato a male. Eppure anche durante il durissimo “periodo especial” degli anni ’90 la sovranità nazionale cubana, a sole 90 miglia dagli Stati Uniti, tenne duro. E grazie poi anche al sostegno del successivamente defunto venezuelano Hugo Chavez, ha potuto resistere per altrettanti trent’anni alla caduta del Muro di Berlino. Prova evidente che era stata una rivoluzione popolare vera.

Un miracolo a due passi dagli States! Con ben dodici presidenti che si sono avvicendati invano alla Casa Bianca. Certo una sovranità incompatibile (forse, nel bene e nel male) con l’esercizio democratico; perlomeno quello che abbiamo avuto l’opportunità di vivere noi nel benestante emisfero nord-occidentale; e che oggi è anche qui piuttosto zoppicante. Sovranità che porta infine non a caso il nome del vaccino Soberana, che i cubani si son fatti da soli contro il covid 19; che nell’isola ha fatto venti volte meno vittime rispetto alle nostre latitudini. Ce la farà ora Diaz Canel, orfano del carisma dei fratelli Castro, ad onorare l’impegno per una continuità del socialismo tropicale cubano? Il resto è già storia.

In copertina una foto dell’Avana di Remy Gieling

La foto di Gianni Beretta è di Marco Cinque

 

 

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