Nigeria: rapimenti, violenza e fame

Da dicembre 2020 circa 730 studenti sono stati rapiti e oltre 5milioni hanno interrotto gli studi. Raddoppia anche l'indice di malnutrizione

Nel Nord Est e Nord Ovest della Nigeria si rincorrono le notizie di rapimenti, violenze, omidici. Decine, solo nelle ultime settimane, gli studenti rapiti. Alcuni ritrovati in vita, altri cadavere. Le uccisioni nello stato di Kaduna da quelli che vengono definiti “banditi” segnano un’escalation nei rapimenti di massa di studenti che affliggono la Nigeria. Il presidente Muhammadu Buhari ha condannato la violenza dichiarando che “il banditismo, i rapimenti e la politica degli omicidi saranno combattuti con tutte le risorse a disposizione del nostro Paese”.

I rapitori hanno intensificato gli attacchi negli ultimi mesi sperando di ottenere il pagamento di riscatti, ma le autorità locali hanno promesso di non pagarli. I crescenti casi di rapimenti di massa rappresentano oggi una principali sfide alla sicurezza della Nigeria. Secondo l’Unicef da dicembre 2020, circa 730 studenti sono stati rapiti, interrompendo gli studi di oltre cinque milioni di bambini e bambine.

I recenti rapimenti di massa hanno spinto sei Stati del Nord a chiudere le scuole pubbliche per prevenire ulteriori attacchi. Le scuole prese di mira si trovano solitamente nelle aree più remote del Paese, dove gli studenti soggiornano in dormitori con pochi guardiani per la sicurezza, rendendoli obiettivi più facili.

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Oltre ai rapimenti c’è poi la violenza diffusa che ha costretto negli ultimi mesi, ben 65mila persone (dati Unhcr) a fuggire dalla città Nordorientale di Damasak a seguito di una serie di attacchi da parte di un gruppo armato.

Jens Laerke, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), ha riferito che le operazioni di aiuto sono state temporaneamente sospese nella zona da metà aprile a causa dell’insicurezza. I combattenti di quella che viene definita la “provincia dello Stato islamico” nell’Africa occidentale (Iswap) ha infatti preso d’assalto la città nello stato di Borno tre volte in una settimana nel mese di aprile, per colpire una guarnigione militare, bruciando case, un ufficio delle Nazioni Unite e uccidendo almeno 12 persone. L’Iswap, gruppo separatista di Boko Haram dal 2016, è diventato uno dei gruppi armati più minacciosi in Nigeria. Secondo Laerke in questa fase gli operatori umanitari sono diventati degli obiettivi e stanno subendo perquisizioni casa per casa e l’incendio degli uffici. Gli incidenti segnano le ultime violenze nell’area del bacino del Lago Ciad che negli ultimi anni ha costretto alla fuga circa 3,3 milioni di persone. Anche con il

peggioramento della sicurezza nella Regione, gli operatori umanitari stanno lottando per fornire aiuti, dal momento che il numero di persone che necessitano di assistenza urgente dovrebbe salire a 8,7milioni nel 2020.

Nel Nord Est della Nigeria, ad esempio, l’indice di malnutrizione (Gam, ovvero Global Acute Malnutrition) è quasi raddoppiato tra agosto 2020 e marzo 2021. Sempre più persone, in particolare bambini fino ai 5 anni, rischiano di precipitare in quella che viene definita MAS (malnutrizione acuta severa).  “Undeclared famine, carestia non dichiarata” è infatti la formula che circola nelle analisi e nei documenti delle organizzazioni umanitarie. Secondo il World Food Programme, sono già 395.700 le persone che soffrono condizioni di insicurezza alimentare estrema nei tre Stati del Nord Est della Nigeria (Borno, Yobe e Adamawa), i più colpiti dalla crisi.

“La popolazione si trova di fronte tre sfide spesso insormontabili – spiega Atilio Rivera, coordinatore medico di Intersos in Nigeria, – Chi è sfollato e non ha più terra da coltivare, non può produrre cibo per l’autosostentamento e dipende interamente dagli aiuti esterni. Ma chi non può essere raggiunto dagli aiuti a causa delle condizioni di sicurezza che impediscono l’accesso umanitario, non riceverà il cibo di cui ha bisogno. E chi, per ragioni di sicurezza o carenza di servizi, non riuscirà ad accedere alle strutture sanitarie, non potrà essere curato”.

Nell’ultimo anno, rileva Intersos, la situazione si è ulteriormente aggravata a causa della pandemia di Covid19 che ha comportato la perdita di posti di lavoro, che in molti casi consistevano in attività giornaliere e senza tutele.

Photo by Joshua Oluwagbemiga on Unsplash

di Red/Al.Pi

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