La Turchia e la Nato dopo l’attentato di Istanbul

Il nodo Pkk, la tensione con gli 'amici' del Patto Atlantico e il ruolo di Erdogan nel conflitto russo-ucraino. L'intervista con Murat Cinar

di Alice Pistolesi

La Turchia gioca un ruolo sempre più strategico nella politica internazionale. Per capire l’atteggiamento nei confronti delle organizzazioni ritenute terroristiche come il Pkk e le formazioni curde del Rojava, oltre che per inquadrare il ruolo ‘da mediatore’ del Presidente Recep Tayyip Erdogan nel conflitto russo-ucraino e i turbolenti rapporti di Ankara con gli alleati Nato, abbiamo rivolto alcune domande a Murat Cinar, giornalista ‘in bilico’ tra Italia e Turchia.

L’atteggiamento della Turchia nei confronti del Pkk e delle formazioni curde del Rojava si è fatto, secondo lei, più aggressivo negli ultimi anni? Si può ipotizzare che ci sia il Pkk dietro l’attentato di Istanbul del 13 novembre?

Il Pkk è un’organizzazione armata, non un esercito. Va da sé quindi che la trasparenza manchi e che sia quindi difficile capire se possano essere gli artefici dell’attentato o meno. Nel Pkk ci sono state varie scissioni negli ultimi trent’anni, che hanno portato ad esempio alla nascita del gruppo Tak (i Falconi del Kurdistan) e di altre piccole formazioni armate che hanno rivendicato negli anni alcuni attentati verso civili. Non possiamo quindi escludere a priori che possa essere opera loro.

Si tratta di una formazione armata che è sì in autodifesa, ma che nasce per creare un conflitto armato contro lo Stato turco e che di fatto è in guerra con la Turchia. Siamo inoltre in una fase in cui la Turchia aggredisce ancora più di prima le formazioni del Pkk in Siria e in Iraq, con il lasciapassare del Kurdistan Iracheno e con gli interventi armati ora anche dell’Iran.

È quindi un’organizzazione aggredita da tanto tempo ed è normale pensare che reagisca in questo modo. A queste ragioni si somma poi, ad esempio, un’intervista rilasciata alcuni mesi fa da un dirigente del Pkk nella quale si sosteneva che sarebbe stata data risposta adeguata agli attacchi della Turchia. Si tratta inoltre di una fase molto delicata anche all’interno del Pkk. C’è infatti più di una voce che sostiene che ci sia un aspro conflitto intestino, non essendoci più una figura di traino come quella di Abdullah Ocalan (in prigione da 23 anni, ndr).

E per quanto riguarda le formazioni armate Ypj e l’Ypg e Sdf di stanza in Siria? Come si può giudicare il cambio di posizione della Svezia, passato da un sostegno della causa curda, ad un rapido dietrofront?

Le formazioni armate Ypj e l’Ypg e Sdf di base in Siria hanno il compito di difendere il Rojava. Direttamente non hanno mai aggredito la Turchia, anche se Ankara sostiene il contrario, ma sono comunque formazioni armate con ideologia affine a quella del Pkk.

Se nel ‘delirio’ turco vogliamo trovare una coerenza, quindi, per la Turchia sono a tutti gli effetti formazioni terroristiche, da considerarsi minacce. Fatte queste premesse la posizione turca è chiara: chi sostiene politicamente, economicamente e militarmente queste formazioni è un nemico del Paese. Se il sostegno arriva poi da Paesi alleati come Membri dell’Unione Europea, Stati Uniti e anche Russia, che sia per la lotta contro l’Isis o per altre ragioni, la questione si complica ancora di più.

Detto questo, però, nessuno è nemico fino in fondo perché tutte le parti hanno interessi reciproci da mantenere. C’è in generale una grande ipocrisia, sia nel comportamento turco, che in quello degli altri Stati. Se ci pensiamo infatti, nessun Paese ha fatto effettivamente qualcosa per impedire gli attacchi turchi in Siria e Iraq. La Turchia è stata condannata, ma solo politicamente. Ankara fa parte del gioco, è attore internazionale importante e gioca la sua partita come gli altri. Un esempio su tutti è la Svezia, che da sostenere la resistenza curda è passata a cambiare radicalmente la propria posizione togliendo l’embargo militare alla Turchia, fino ad andare ad Ankara a baciare le mani.

Cosa sta provocando in Turchia l’ultimo attentato di Istanbul? Il Paese resta insicuro dal punto di vista terroristico? Se sì questo cosa provoca nella popolazione?

In Turchia ci sono attentati dal 2015, sembra che il territorio sia diventato un lasciapassare e che si possa dire che i servizi segreti abbiano fallito. Dopo gli attentati di Isis, ad esempio, alcuni parlamentari di opposizione avevano portato prove che certificavano che gli attentatori erano stati individuati da tempo, insinuando quindi che alla negligenza potesse sommarsi la cattiva intenzione.

Cosa succeda veramente non si sa, vero è che la popolazione è sempre più scocciata. Nonostante Erdogan si vanti di avere un forte esercito, infatti, la gente si sente insicura. La risposta di Ankara agli attentati è semplice e si rifà al discorso di prima: gli alleati ci tradiscono, di conseguenza il terrorismo del Pkk può colpire.

In questo caso specifico si tratta comunque di un attentato strano, nonostante il Governo si vanti di averlo risolto in poche ore. Le riflessioni politiche che questo attacco suscita sono molte. Una su tutte è la posizione molto aggressiva che Ankara sta avendo nei confronti degli alleati. Il Ministro degli Interni Suleyman Soylu, ad esempio, ha rifiutato le condoglianze dell’ambasciatore Usa in quanto ‘sostenitore di organizzazioni terroristiche’. Nell’incontro avvenuto pochi giorni fa a Samarcanda, inoltre, il Presidente ha parlato di come la Turchia sia stata lasciata sola nella lotta contro il terrorismo e di come Joe Biden protegga un terrorista come Fethullah Gülen, accusato da Ankara di essere l’artefice del tentativo di golpe del 2016. Si tratta di un messaggio molto forte agli Usa.

La tensione tra i due Stati, in effetti, esiste da tempo. Dietro questo attrito ci possono essere milioni di ragioni. Sicuramente sia gli Usa, che l’Ue stanno contestando alla Turchia la non attuazione di sanzioni contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.

Questa ‘equidistanza’ può rendere quindi Erdogan un mediatore nel conflitto russo ucraino o non ci sono le condizioni per definirlo tale?

Mentre gran parte del Mondo azzera il dialogo con Putin, lui vuole dimostrare di essere l’unica persona che può ancora parlare con lui, cercando di guadagnare più prestigio, ma non solo. La Turchia si trova in una profondissima crisi economica. Se Ankara interrompesse le relazioni con la Russia l’intero sistema crollerebbe. Gli investimenti del Cremlino nel Paese sono ingenti: un immobile su due venduto in questi ultimi 6 mesi nella città di Antalya è di proprietà russa e il 20% del totale nazionale è proprietà russa. Ci sono poi forti investimenti su centrali nucleari, in agricoltura, oltre a grossi interessi sull’utilizzo del Mar Nero.

Per questo nonostante in alcuni scenari le posizioni siano diverse, come ad esempio in Libia in Siria o in Azerbaijan, le due Parti hanno sempre dialogato e mostrato grandi sorrisi in pubblico. Si tratta di una collaborazione basata sul reciproco sfruttamento, che da un momento all’altro può fallire. Entrambi possiedono carte in mano per ricattarsi reciprocamente.

La Turchia vende droni all’Ucraina, ha condannato l’invasione russa, ma questo non ha creato una crisi diplomatica con la Russia. Putin accetta la Turchia così com’è. Certamente non possiamo definire Erdogan un pacificatore, ma un leader che sta approfittando dell’occasione che si è creata.

*In copertina foto tratta dal profilo Twitter di Recep Tayyip Erdogan

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