Myanmar, la guerra a Tatmadaw

Strategia militare e psicologica nel conflitto che oppone l'esercito birmano a una diffusa opposizione

Theo Guzman

Dal febbraio del 2021, quando la giunta militare espressione di Tatmadaw, ha preso il potere nel Paese delle mille pagode, una delle più violente dittature militari della Storia recente si è abbattuta su una popolazione di 55 milioni di abitanti che stava celebrando i primi anni di una seppur fragile democrazia e di un timido sviluppo che aveva aperto gli occhi dei birmani sul mondo dopo decenni di regimi in divisa. Ma dopo le elezioni del novembre 2020, che sanciscono una nuova vittoria del partito di Aung San Suu Kyi, riconfermando con numeri più ampi la supremazia della Lega nazionale per la democrazia, i militari hanno riportato indietro le lancette della Storia. Tatmadaw, che significa “esercito reale”, è un nome che incuteva timore e rispetto ma che nessuno adesso usa più. I militari sono solo i “verdi”.

Il Paese si chiude nuovamente e, forte di pochi alleati e dell’acquiescenza dei Paesi vicini, il Myanmar ritorna pienamente nell’orbita dei Paesi paria. E’ una nazione in ginocchio adesso, un Paese fallito attraversato da una guerra che erode ogni giorno il governo degli aguzzini in divisa. Secondo le stime più recenti, la giunta militare avrebbe infatti il controllo di meno di un terzo del territorio birmano e, delle oltre 300 township che costituiscono lo scheletro amministrativo del Myanmar, i militari ne controllerebbero stabilmente solo 72, in un’area che non arriva a un quinto del Paese. Le stime dello Special Advisory Council for Myanmar – un gruppo formato da tre ex inviati speciali dell’Onu nel Paese – dicono anche che 127 municipalità sono contese e che dunque un terzo del Paese consiste di zone dove la resistenza riesce a erodere il potere militare. Come? Passando da una movimento di disobbedienza civile diffuso e non violento (Cdm o Civil Disobedience Movement), che inizialmente si era opposto con marce pacifiche e scioperi al golpe, alla lotta armata.

Il movimento di resistenza armata ha diverse componenti e non sempre in accordo tra loro. La forza che si richiama al Governo clandestino di unità nazionale (NUG) si riconosce nelle PDF (Forze di difesa popolare), formazioni il cui training militare è stato spesso affidato agli alleati delle Ethnic Armed Organization-EAO, le milizie organizzate delle diverse comunità periferiche birmane. Questi piccoli eserciti, che il NUG preferisce chiamare ERO – Ethnic Revolutionary Organization – rappresentano la storica opposizione della periferia al centro e delle comunità Chin, Kachin, Shan, Karen e così via allo strapotere dei Bamar, il gruppo maggioritario di cui Tatmadaw è sempre stata l’espressione militare. Non tutte queste organizzazioni – circa una ventina – sono contro la giunta: alcune si sono schierate coi militari mentre altre stanno alla finestra per vedere in che direzione si muove la guerra. Ma in alcune aree del Paese, NUG ed ERO lavorano e combattono assieme. Dalla capacità di rafforzare questa nuova inedita alleanza dipende il futuro del conflitto.

Intanto si lavora a una nuova Costituzione federale e all’organizzazione di un contropotere attraverso il Governo di unità nazionale ad interim (NUG) che ha il compito di sviluppare gli obiettivi strategici elaborati dal National Unity Consultative Council (NUCC) – una sorta di Consiglio federale – e dal Committee Representing Pyidaungsu Hluttaw (CRPH), che è l’espressione a sua volta una sorta di Parlamento. La strategia per indebolire Tatmadaw passa sia attraverso l’azione militare sia attraverso singole tattiche per sgretolarne la struttura piramidale formata da un vertice di 78 capi, da un corpo intermedio di 561 membri, e da un migliaio di responsabili dei battaglioni e quindi degli uomini sul terreno: sanzioni internazionali per colpire la cupola, guerra psicologica per creare fratture nel corpo intermedio, guerra guerreggiata con la truppa sono alcune delle tecniche per indebolire la giunta al suo interno e sul campo di battaglia. Un campo di battaglia sempre più difficile per Tatmadaw che ormai non ha esitazioni nell’utilizzare sempre di più l’arma dei raid aerei indiscriminati. Come ha dimostrato la strage dell’11 aprile scorso nel Sagaing quando due bombe da 500 libbre hanno spazzato via 168 persone di cui 159 erano civili.

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