A metà degli americani non piace l’attacco all’Iran

di Maurizio Sacchi

Mentre Donald Trump vanta il successo militare e diplomatico degli attacchi aerei contro l’Iran, ricorrendo addirittura a un paragone con Hiroshima e Nagasaki, presentate come mezzo efficace per concludere una guerra, sul fronte interno il trionfalismo non è condiviso nemmeno dai suoi concittadini.  Secondo un nuovo sondaggio della CNN condotto dopo gli attacchi, gli statunitensi disapprovano gli attacchi, con una percentuale del 56 contro il 44 percento, e   6 persone su 10 si dicono preoccupate  che gli questi possano aumentare la minaccia iraniana per gli Stati Uniti.

Anche al Congresso l’iniziativa sta creando tensioni, perfino fra gli stessi repubblicani. Un grande interrogativo per i membri del Congresso, inclusi alcuni repubblicani,  è che ora si chiedono se l’attacco aereo fosse legale. Alcuni di essi, dopo aver permesso a Trump di scavalcare gran parte della loro autorità costituzionale su una serie di questioni, come la spesa pubblica, il commercio e il divieto di TikTok, pensano a riprendersi il loro ruolo legale. Gli attriti all’interno dell’Amministrazione statunitense si accentrano sul fatto che  Trump abbia  ripetutamente respinto la valutazione rilasciata a marzo dalla direttrice dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard, secondo cui la leadership iraniana non abbia mai ordinato lo sviluppo di un’arma nucleare.   Netanyahu non ha mai mostrato prove sufficienti dei progressi iraniani verso l’atomica, non tanto  da giustificare un attacco, e questo  è  oggetto di un intenso dibattito a livello globale e solleva interrogativi sull’ammissibilità degli attacchi ai sensi del diritto internazionale.

A questo si aggiunge il dibattito sul fatto che il  potere di dichiarare guerra ricade esclusivamente sul Congresso, anche se Trump e molti altri presidenti hanno sostenuto di poter condurre azioni belliche  più limitate in autonomia. Ma la Costituzione prevede che il Congresso autorizzi un presidente a intervenire militarmente a qualsiasi livello, un fatto sollevato anche dai Repubblicani: “Francamente, avremmo dovuto discuterne”, ha affermato il deputato repubblicano Thomas Massie, del  Kentucky, che ha presentato una proposta di legge bipartisan per riaffermare l’autorità del Congresso di dichiarare guerra. “È difficile concepire una giustificazione che sia costituzionale”, a cui ha fatto eco il deputato repubblicano  Warren Davidson dell’Ohio. Anche il sondaggio citato dice che la maggioranza degli americani non si fida che Trump prenda le decisioni giuste sull’Iran da solo e ritiene che dovrebbe essere obbligato a ottenere l’approvazione del Congresso per qualsiasi ulteriore azione militare. Probabilmente tutto ciò non cambierà le cose, per diversi motivi. I leader repubblicani al Congresso sostengono pienamente Trump, e da decenni il Parlamento a stelle e strisce é abituato a cedere potere ai presidenti quando si trattava di condurre azioni militari.

L’ultima volta che il Congresso ha approvato l’uso della forza militare è stato dopo l’11 settembre 2001. Votarono a  a favore anche i Democratici, tra cui  Hillary Clinton, che ne ha poi pagato il prezzo politico. Un’autorizzazione ventennale,  usata da vari  presidenti per giustificare conflitti molto diversi: il Presidente Barack Obama ha usato l’per attaccare lo Stato Islamico. Trump ha usato la stessa autorizzazione durante il suo primo mandato per giustificare l’uccisione di un generale iraniano di alto rango. È anche poco chiaro cosa costituisca effettivamente una guerra, o un conflitto militare abbastanza prolungato da obbligare a un presidente di ottenere l’approvazione del Congresso. Il Congresso non ha dichiarato guerra dalla Seconda Guerra Mondiale, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor. Questo dà ai presidenti ampio margine di manovra per sostenere che ciò che stanno facendo rientra nei loro poteri costituzionali in qualità di comandante in capo delle forze armate nazionali. “Non è chiaro se un’azione militare diversa da una ‘guerra totale’ simile alla prima e alla seconda guerra mondiale, dal punto di vista dell’esecutivo, equivarrebbe a una guerra in senso costituzionale che richiede l’autorizzazione del Congresso”, afferma l’ente non partigiano Congressional Research Service. Anche Obama lanciò attacchi senza l’approvazione del Congress,o e avanzò un’argomentazione simile a quella che sta sostenendo ora Trump: vale la pena affrontare un conflitto a breve termine per proteggere gli americani da una minaccia più ampia che potrebbe materializzarsi nel lungo periodo . Ma allora si trattava di attacchi contro un gruppo terroristico, mentre in questo caso si é colpito un Paese sovrano, con l’esplicita intenzione di rovesciarne il regime. Tutto ciò non basta a mettere in discussione la leadership del tycoon. Ma Trump non può ricandidarsi, e ci sono diverse questioni che potrebbero compromettere la sua reputazione all’interno del partito, come gli effetti  dei dazi sull’inflazione,   o se i suoi attacchi in Iran si trasformassero in un conflitto più ampio.

Inoltre la sensazione che si diffonde è che il presidente si sia fatto strumentalizzare da Netanyahu, che già in autunno, molto prima che il presidente Donald Trump intraprendesse i negoziati e per risolvere le questioni relative al programma nucleare iraniano, aveva  avviato Israele sulla strada della guerra, secondo dichiarazioni di funzionari israeliani. A ottobre, Netanyahu aveva emesso un ordine generale di preparazione per un attacco. I funzionari dell’intelligence israeliana hanno iniziato a riunirsi per compilare liste di decine di scienziati nucleari e leader militari iraniani da prendere di mira per essere assassinati. L’aeronautica militare israeliana ha iniziato a distruggere sistematicamente le difese aeree in Libano, Siria e Iraq per liberare i cieli in vista di futuri bombardamenti contro l’Iran. Nel frattempo, i funzionari israeliani stavano perseguendo un’altra strada nei loro preparativi: influenzare Washington per assicurarsene l’appoggio, sia diplomatico che militare.

Perfino in campo israeliano c’é chi dissente. “Avremmo dovuto dare una possibilità alla via diplomatica”, ha affermato Danny Citrinowicz, ex capo dell’ufficio Iran del dipartimento di ricerca dell’intelligence militare israeliana. “Ora abbiamo ottenuto risultati operativi, ma i rischi sono enormi. Non abbiamo mai combattuto con un paese come l’Iran. Ci ritroviamo a non sapere dove si trovino l’uranio altamente arricchito o le centrifughe. Se avessimo raggiunto un accordo, avremmo almeno meno incognite”.

nell’immagine, il Campidoglio visto dalla sede della Corte suprema Usa

 

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