Accoglienza in Italia, un sistema in crisi

Liste di attesa di sei mesi per fare richiesta di asilo, scarsa programmazione e gestione ancora emergenziale. L'intervista a Stefano Trovato del Cnca

di Alice Pistolesi

Migliaia di futuri richiedenti asilo in strada, scarsa programmazione e una gestione ancora emergenziale. Queste le caratteristiche dell’attuale sistema di accoglienza italiano. Per capirne di più, alla luce anche del dibattito sugli arrivi via mare e sui salvataggi compiuti dalle ong, abbiamo rivolto alcune domande a Stefano Trovato, vicepresidente e responsabile immigrazione per il Cnca (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza).

In quale fase siamo per il sistema di accoglienza italiano?

Come Cnca stiamo partecipando, insieme ad altre realtà che si occupano di accoglienza al tavolo asilo e immigrazione e abbiamo incontrato il nuoco dirigente del Ministero degli Interni. È chiaro che c’è la consapevolezza che gestire il tema degli arrivi non è cosa semplice. Il sistema è sempre più debole. I posti in accoglienza sono sempre di meno, a causa del taglio dei fondi seguito ai decreti Salvini. Le prefetture e le questure, inoltre, hanno carenza di personale e i servizi reggono con difficoltà. Questo, se ci pensiamo, non vale solo per i servizi ai richiedenti asilo, ma anche per i cittadini italiani. Basti pensare ai tempi attuali per ottenere il rinnovo del passaporto. Come Cnca diciamo da sempre che l’accoglienza deve essere gestita dai comuni e dal Ministero del Lavoro e dei servizi sociali. Non si tratta infatti di un problema di sicurezza, ma rientra invece nella gestione sociale dei territori.

Si può dire quindi che il sistema di accoglienza è in crisi? Se sì perché?

In effetti sì. Anche lo stesso sistema Sai (Sistema Accoglienza Integrazione), che ha sostituito gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è in difficoltà. Molto cambia da regione a regione. Sono infatti i comuni a dare la propria disponibilità ad attivare i progetti Sai. Anche nella fase con più progettualità in corso su ottomila comuni italiani, solo duemila erano quelli che avevano aderito presentando una proposta. Il sistema è quindi estremamente frammentato.

Il Sistema però non è andato in crisi per l’aumento degli arrivi. Giusto?

Nel 2022 un incremento degli arrivi via mare e via terra c’è stato, ma non tale da giustificare questa disorganizzazione. Il problema è la totale mancanza di programmazione sui bisogni, che configura un’inefficienza del sistema generale. I flussi sono grossomodo gli stessi dal 2016 eppure la nostra gestione è ancora costellata da sistemi leggerissimi, che trattano la questione come se fosse un’emergenza e non la normalità.

Come in molti altri momenti, però, l’attenzione è spostata sul mare.

Come ben sappiamo concentrare l’attenzione sugli sbarchi è una questione mediatica. È noto, ad esempio, che le navi delle ong raccolgano solo un decimo delle persone che arrivano e che è invece la Guardia costiera che ne salva in numero maggiore. La questione è quindi strumentale. Le ong sono però soggetti terzi che mettono in discussione un sistema e per questo sono da anni sotto attacco. Oggi con l’allontanamento dei porti di sbarco, ieri con altre forme vessatorie.

Sull’accoglienza oggi il vero problema è che migliaia di persone si trovano in strada perché non possono fare domanda di asilo e, di conseguenza, non possono aspirare ad un posto in accoglienza. Posti che comunque scarseggiano. Da una nostra rilevazione abbiamo appurato che viaggiamo sui sei mesi di lista di attesa solo per ricevere il documento di richiesta di asilo. Questo non riguarda chi arriva dal mare che viene subito indirizzato negli hotspot e dopo in accoglienza, ma chi giunge dalla rotta balcanica o da altri Paesi europei.

Avere in strada migliaia di persone porta con sé una serie di questioni, come ad esempio gli accessi impropri nei pronto soccorso. Senza documenti, infatti, queste persone sono obbligate a rivolgersi ai servizi sanitari di emergenza. L’aumento del numero delle persone che dormono in strada è impressionante ed è in linea con altri Stati europei. L’incremento della povertà è infatti evidente in un’Europa che tenta sempre più di chiudersi nella propria Fortezza.

Gli accordi in discussione tra alcuni Stati Europei e Africani per bloccare i flussi sono da intendersi in questa ottica?

Certo. L’Italia, così come altri Paesi europei sta chiudendo accordi per fermare l’immigrazione alla radice. Questa tendenza non è una novità, ma ora stiamo andando oltre perché si punta ad esternalizzare ancora di più i confini. Secondo il nuovo ‘disegno’ infatti, nei Paesi di origine ci dovrebbero essere delle zone franche da cui la persona può presentarsi per fare la propria domanda di asilo al Paese in cui desidera essere accolto. Questo porterebbe alla totale cessione a terzi di un diritto internazionale. Si farebbe in questo modo ‘selezione all’ingresso’, trasformando i Paesi di origine in contoterzisti che farebbero la valutazione della richiesta per conto degli stati europei.

*In copertina foto di Ruben2533 on Shutterstock

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