Addio a Zio Jovo, eroe di una “guerra persa”

Il ricordo del generale serbo bosniaco che difese Sarajevo. E la scommessa del multiculturalismo e della convivenza

Giovedì scorso è morto a 84 anni Jovan Divjak, il generale serbo-bosniaco che aveva difeso Sarajevo durante l’assedio della città durante la guerra in Bosnia negli anni Novanta. Lo ricorda Edvard Cucek (con lui nella prima foto del testo) e due immagini di Zio Jovo, com’era colloquialmente chiamato, di Mario Boccia. È accanto a allo scrittore Predrag Matvejević e al giornalista Zlatko Dizdarevic. Sotto, nel testo, con Tjana e Nikolina Pejcic

di Edvard Cucek

Mi coglie naturalmente incredulo questa triste notizia. Zio Jovo, Generale difensore della Sarajevo assediata, fondatore della Fondazione “Istruzione costruisce Bosnia ed Erzegovina”, uomo tutta la vita rimasto sulla stessa sponda, quella della verità, Jovan Divjak se ne andato per sempre. Anche se all’età di 84 anni – con un percorso della vita straricco e pieno di obbiettivi raggiunti molto importanti – perderlo, ne sono consapevole adesso, sarebbe stato ed è comunque e sempre troppo presto. Lascia infatti un vuoto incolmabile. A noi bosniaci, agli europei, al genere umano.

Sarebbe un’occasione sprecata scrivere adesso qualcosa di essenziale e che riguarda una conoscenza quasi casuale e un’amicizia andata avanti per diversi anni, scrivendo dei dati anagrafici di Zio Jovo (così gli piaceva essere chiamato), oppure del suo percorso da soldato e da eroe della difesa di una delle città più multietniche di tutta la vecchia signora Europa. Alcune cose devo dirle però. Raccontate proprio da lui.

Anche se belgradese di nascita, aveva capito, ancora anni prima della guerra bosniaca, che quello di Sarajevo sarebbe stato per sempre il suo destino. Non ha tradito mai le proprie convinzioni. Nemmeno in quei primi giorni della sanguinosa primavera del 1992 che vedrà la sua Sarajevo incatenata dai criminali dell’esercito di Radovan Karadzic e Ratko Mladic, quando bloccò tutti gli armamenti leggeri della “Difesa Territoriale” (una specie di esercito regionale) e invece di consegnarli al quartier generale di allora – Armata Popolare Jugoslava – le consegnò ai cittadini di Sarajevo creando così le prime formazioni militari che per 4 lunghi anni difenderanno la propria città. Lui, serbo, nato a Belgrado.

Da quel giorno per tanti diventò “Il Generale serbo che difese la Sarajevo dai suoi”. Ma quanto sfortunato questo “inquadramento” di un uomo con uno spessore umano che dovremo ancora scoprire. Dal mio modesto punto di vista un uomo, soldato di professione, che ha difeso la cultura del vivere insieme, spesso sottolineata da qualche “europeista occasionale” ma anche da quelli veri, e da tutti i cittadini di Sarajevo. Tutti! E li difendeva dai criminali comandati da serbo bosniaci. Questi sono i fatti storici.

Comunque come tale non è mai stato accettato da quella parte dei “patrioti” sarajevesi o bosniaci per i quali essere un vero patriota bosniaco presumeva anche l’appartenenza all’etnia bosgnacco musulmana. Insomma parlo dei circoli vicini al “Partito del Azione Democratica” – SDA del presidente d’allora Alija Izetbegovic. Per questo motivo Zio Jovo sarà anche pensionato molto prima della fine dell’assedio. Quell’anno 1994, Zio Jovo fonderà la Fondazione “Istruzione costruisce Bosnia ed Erzegovina” la quale in questi 27 anni ha dato la possibilità di avere un livello d’istruzione medio alto e alto a un intero esercito di giovani bosniaci. Un vero esercito del nostro Jovan che gli sarà fedele per sempre.

Così Zio Jovo, dopo aver difeso la cultura di vivere insieme e il multiculturalismo, camminando da solo (sempre senza guardaspalle) sulle prime linee del fronte incoraggiando i difensori e i civili, aveva deciso di difendere anche il diritto alla istruzione alle fasce più vulnerabili. Altra battaglia da vincere. Sempre tra la gente, camminando a testa alta senza paura mentre nella vicina Banja Luka o a Belgrado sulla sua testa si scrivevano le taglie per presunti crimini di guerra. Arrivate persino a Vienna dove sarà per diversi mesi chiuso in un albergo in attesa di chiarimenti diplomatici e giudiziari. Tornerà alla sua Sarajevo vincendo anche questa ingiustizia. Abbracciandola e per essere abbracciato.

Sarajevo 30_06_2007 (Mario Boccia)

Per finire un fatto di cui la vecchia signora Europa sa poco, anche perché spesso Zio Jovo deve essere dipinto seguendo uno schema preciso. Come già detto, Zio Jovo dovrebbe restare “il Serbo che difese i patrioti sarajevesi, spesso soltanto di etnia bosgnacco musulmana, dai suoi”. Ossia uno che si era “venduto” alla politica che sosteneva la Bosnia, innanzi tutto i bosgnacchi musulmani e di conseguenza traditore dei suoi, dei serbi. Traditore di tutti serbi. Anche quelli, diverse migliaia, che a Sarajevo sopravvissero proprio grazie a lui.
In mezzo si infila, quasi timidamente, tutta la storia di un uomo coraggioso e onesto che rischiò tutto per difendere i valori in cui credeva racchiusi in una città martoriata pur sapendo che dalle colline circostanti circondate dai “suoi” per lui era riservata una morte sicura. Un uomo che alle spalle non aveva mai il vero sostegno di un establishment politico anche se voleva presentarsi al mondo intero come un patriota e alla guida di un Paese che subiva un’aggressione militare.

Lo ribadì Zio Jovo a dicembre del 1997 quando con una lettera decise di restituire al Presidente della Bosnia ed Erzegovina d’allora Alija Izetbegovic i riconoscimenti, le onorificenze e le insigne del Generale brigadiere dell’Armata delle Bosnia ed Erzegovina (AR BiH) in seguito alle indagini che testimoniavano diversi casi di uccisioni di civili nella Sarajevo assediata non di etnia bosgnacco musulmana, compiuti o ordinati dai militari della stessa AR BiH tra i quali alcuni ancora dopo la guerra ricoprivano cariche importanti nello Stato e nella gerarchia militare e i quali il Presidente Izetbegovic non volle mai processare e tantomeno privarli dalle onorificenze militari. Anzi, ci furono dei casi in cui per alcuni criminali di guerra furono organizzati funerali solenni statali.

Per me era molto doloroso quello che mi disse Zio Jovo quando ci siamo visti ultima volta. “Non pensavo in quegli anni di difendere la Sarajevo di oggi, ma non rimpiango, ho sempre difeso le persone deboli e mi è capitato di farlo proprio qui”. Il Mondo è Sarajevo e io auspico che Sarajevo, almeno per quegli eroi come Zio Jovo, resti sempre il Mondo. Piccolo ma aperto a tutti.

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