Afghana

Foto e testi: Giuliano Battiston
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“Afghana” raccoglie alcune fotografie scattate tra l’estate del 2008 e il mese di novembre 2021. Nel Paese centroasiatico sono stati anni di duro conflitto, di vittime civili, di vite spezzate, di promesse non mantenute, risentimento, ingiustizia, frustrazione. Ma sono stati anche anni in cui la popolazione ha cercato di conquistarsi il diritto a una vita ordinaria: il lavoro, le amicizie, lo studio, il gioco, l’amore. Il racconto giornalistico sull’Afghanistan è stato condizionato dal “feticcio del conflitto”, l’idea che un Paese in guerra possa essere raccontato solo attraverso la lente dei combattimenti e della violenza. Con queste foto proviamo a raccontare la vita degli afghani e delle afghane dentro e oltre il conflitto.

Il ritorno dei Talebani
Il 15 agosto 2021, dopo un’offensiva militare sui distretti rurali e sui capoluoghi di provincia, i Talebani hanno conquistato la capitale, Kabul. La velocità del collasso della Repubblica islamica, sorprendente perfino per i Talebani, ha avuto l’effetto di un vero e proprio cataclisma su istituzioni, politica, economia, società. In pochi giorni, la vita degli afghani e delle afghane – lavoro, amicizie, studio, gioco, amore – è radicalmente cambiata.
Oggi siamo in una delicatissima fase di transizione, i cui contorni verranno definiti dalle scelte delle autorità di fatto del Paese, dalla dialettica interna al movimento dei Talebani, dalle risposte della società, ma anche dalle iniziative che la comunità internazionale, e lo stesso Governo italiano, vorranno intraprendere o meno.

La società civile
Nel corso degli ultimi venti anni, la società civile afghana ha svolto un ruolo cruciale nel promuovere la partecipazione pubblica, nel monitorare la situazione dei diritti umani, nel denunciare ingiustizie e corruzione, nel diffondere una cultura di pace, nel rivendicare il protagonismo di donne, uomini e giovani e il loro diritto a una vita ordinaria. Con l’arrivo al potere dei Talebani, in molte città la consolidata rete di attivisti e attiviste è saltata, a causa della repressione subita o temuta. Tanti esponenti della società civile hanno dovuto abbandonare il Paese. Molti però rimangono e auspicano il rafforzamento dei canali di dialogo e collaborazione con gli afghani della diaspora e con la società civile di altri Paesi, inclusa quella italiana.

Giuliano Battiston

Parlare di Afghanistan significa raccontare un dramma che dura da più di quarant’anni. Significa parlare di un popolo – forse sarebbe corretto dire di più popoli – passato attraverso colpi di stato, occupazioni militari, guerra, guerriglia, governi oppressivi, nuova guerra, altra occupazione, ritorno del governo oppressivo.
Quattro decenni che le genti afghane hanno vissuto sulla loro pelle, senza che migliorasse in alcun modo la loro condizione di vita. Nel 2021, poco prima della fuga degli eserciti occidentali e del ritorno dei Taleban a Kabul, il reddito medio di un afghano era 530dollari all’anno. Meno di due dollari al giorno.
Significa miseria vera, ovunque ci si trovi. Questo – questa miseria cresciuta nel tempo, diventata solida a dispetto dei proclami di chi governava negli anni – ha impedito qualsiasi cambiamento reale. Ha tenuto il Paese fermo alla posizione iniziale. Ha bloccato ogni tentativo di mutare la storia.
Guardare le foto dell’Afghanistan significa tracciare la rotta di un fallimento permanente. È una terra in guerra perenne. È soprattutto una terra in cui la gente – la stessa gente che vedete in queste fotografie, queste facce – è senza saperlo in guerra con la storia. Una guerra che sta perdendo, a prescindere da chi governa, al netto del rumore eventuali delle armi.
Questa mostra, non a caso realizzata con le foto di Giuliano Battiston, uomo che l’Afghanistan lo conosce, vuole raccontare questa lotta, combattuta senza armi, senza pallottole, ma vissuta quotidianamente da chi, in Afghanistan, vuole sopravvivere.

Raffaele Crocco

La storia del reportage

La mostra ‘Afghana’ è stata presentata a Trento il 14 dicembre 2021, in occasione del convegno ‘Afghanistan, il futuro negato’