Finita l’esperienza militare, l’Afghanistan continua a lottare per sopravvivere all’eredità di una guerra infinita iniziata con l’arrivo dei sovietici e proseguita con l’occupazione Nato. Finite l’avventura militare il Paese riceve sempre meno finanziamenti. “Accesso alle cure d’urgenza, critiche e chirurgiche in Afghanistan. Prospettive del popolo afgano e degli operatori sanitari di 11 province“ è una fotografia della situazione sanitaria nel Paese, attraverso una ricerca effettuata coinvolgendo 1.551 pazienti, 32 membri di staff di EMERGENCY e operatori sanitari. La ricerca, costruita raccogliendo proprio le voci degli afgani, si concentra sull’accesso della popolazione ai servizi di emergenza, intensivi e chirurgici (Emergency, Critical and Operative – ECO) che includono anche la ginecologica e l’ostetricia. E’ stato redatto congiuntamente da EMERGENCY e CRIMEDIM. Il testo integrale si può leggere qui disponibile qui.
Basandosi su oltre 1.600 questionari e interviste a pazienti, accompagnatori e personale medico, il rapporto – sintetizza una nota Di EMERGENCY – offre uno sguardo approfondito sulle barriere all’accesso alle cure di emergenza, intensive e chirurgiche (Emergency, critical and operative – ECO), attraverso le testimonianze dirette della popolazione afgana. L’accesso alle cure ECO rimane estremamente limitato. Il 61% degli intervistati ha segnalato sfide considerevoli nel raggiungere i servizi sanitari. Un paziente su quattro è stato costretto a posticipare un’operazione chirurgica almeno una volta, mentre uno su cinque ha mancato un appuntamento di controllo. Oltre il 30% degli intervistati ha riportato una disabilità o un decesso a causa dell mancato accesso alle cure.
Per molti afgani, le lunghe distanze e gli alti costi rimangono ostacoli decisivi. Quasi la metà – la maggioranza della popolazione vive in aree rurali e montuose – ha dovuto spostarsi a piedi per raggiungere i servizi sanitari. Tre intervistati su cinque hanno chiesto denaro in prestito o venduto beni personali per pagare le cure. Le donne, in particolare le vedove, hanno più paura degli uomini nel loro percorso verso le strutture sanitarie e affrontano ostacoli aggiuntivi a causa delle restrizioni in vigore.
Anni di guerra e di sottofinanziamento delle infrastrutture civili hanno lasciato il sistema sanitario afgano privo della capacità di rispondere ai crescenti bisogno della popolazione, specialmente in traumatologia, ostetricia, terapia intensiva e chirurgia. Allo stesso tempo, la mancanza di personale adeguatamente formato e un sistema educativo indebolito hanno ulteriormente compromesso l’erogazione dei servizi.Sulla base dei suggerimenti dei partecipanti allo studio, questo rapporto mira a contribuire a mantenere l’Afghanistan nell’agenda internazionale. A tal fine, il rapporto si conclude con 10 raccomandazioni per un sistema sanitario più equo e resiliente, tra cui:
· La comunità internazionale deve garantire che le cure ECO siano una priorità negli sforzi sanitari, umanitari e di sviluppo, attraverso un’adeguata allocazione finanziaria, un approccio olistico al sistema sanitario e una strategia fondata sul triplo nesso.
· Le autorità afghane devono lavorare per implementare un approccio sanitario integrato a tutti i livelli di cura per garantire una fornitura di assistenza sanitaria coerente, equa e adeguata nel paese.
· Investire nell’istruzione di professionisti sanitari attraverso la formazione specialistica e programmi di capacity building, in particolare in aree critiche come la medicina d’urgenza, l’anestesia e la terapia intensiva, al fine di dare una risposta alla carenza di competenze e mitigare gli effetti della fuga di cervelli.
Sostenere l’inclusione di donne e ragazze nell’istruzione e nel mercato del lavoro, compreso il settore sanitario, riconoscendo che la loro partecipazione genera un impatto positivo sulla salute, rafforza la capacità del sistema e contribuisce alla stabilità socioeconomica a lungo termine dell’Afghanistan.
La foto in copertina è di Laura Savinelli