Alle origini della marcia dall’Honduras – 1

Cosa c'è dietro la carovana che dal Centroamerica tenta di raggiungere gli Usa. Deportazioni, violenza, povertà, bande giovanili, narcotraffico. La prima puntata di un’analisi su un fenomeno senza precedenti

di Maurizio Sacchi*

La foto di Gustavo Aguado vecchia di 6 anni è stata usata per diffamare la carovana

La foto che vedete è circolata il 21 di ottobre su vari profili facebook, e su twitter, e veniva indicata come un’immagine di ipotetici scontri fra la polizia messicana  e la carovana di profughi che dall’Honduras si muove verso gli Stati Uniti da ormai oltre dieci giorni. Il commento che l’accompagna è che si tratta di “un agente brutalizzato da membri della carovana”. Si tratta in realtà di un falso, un  classico esempio di fake news . Poche ore dopo l’apparizione della’immagine sui social, il fotoreporter messicano Gustavo Aguado  la identificava come un suo scatto del 2012, in occasione dello sgombero di un liceo occupato in Messico. Mentre l’immagine è falsa, la guerra da cui fuggi la carovana è vera.

Una guerra vera
Mentre la carovana partita dall’Honduras avanza, e risale il Messico, cresce di numero. Quando raggiunge Tapachula in Messico, si valuta che da 7.000 a 10.000 persone ne facciano parte e i media di tutto il mondo cominciano a parlarne più insistentemente. La città d’origine della carovana, San Pedro Sula, in Honduras, viene citata dalla stampa internazionale, a volte come un “paesino”, ma si tratta in realtà della seconda città dell’Honduras, con più di 700.000 abitanti e una propria economia: è sede di importanti maquiladoras (fabbrica di varie dimensioni) di proprietà americana, tra cui la Fruit of the Loom,  in cui avvengono trasformazioni o assemblaggi di componenti in un regime di duty free ed esenzione fiscale.

Ma quello che fa di San Pedro Sula una città speciale è il drammatico primato di centro urbano più violento al mondo. L’anno scorso, una media di 20 persone sono state uccise ogni giorno in Honduras, un paese di soli 8 milioni di abitanti, secondo l’Osservatorio della Violenza presso l’Università Nazionale Autonoma dell’Honduras (NAUH). Si tratta di un tasso di omicidi di 85,5 per 100.000 residenti, rispetto a 56 in Venezuela, 4,78 negli Stati Uniti e 1,2 nel Regno Unito. E il tasso di omicidi della città di San Pedro raddoppia la media nazionale. Si tratta di cifre da zona di guerra, e infatti San Pedro, nella classifica riportata dal sito American Live Wire, sopravanza Kabul.

San Pedro Sula capitale della violenza
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Profughi (UNHCR) ha aperto da qualche anno un centro medico  e sociale in un quartiere della città, che ha l’obbiettivo primario di ricostruire un minimo di tessuto sociale in una realtà dominata dal potere delle maras, le gang giovanili nate fra i giovani dell’Honduras e degli altri Paesi centroamericani, emigrati negli Stati Uniti, e deportati poi a forza nei paesi d’origine. Secondo il Washington Post (20 luglio 2017): “Fin dal suo insediamento, il presidente Trump ha proclamato che il suo governo sta “effettivamente liberando le città” dalle grinfie delle maras e ha falsamente affermato di aver deportato metà dei loro membri dagli Stati Uniti. Ha incolpato “le deboli politiche sull’immigrazione illegale” sotto il presidente Barack Obama per aver permesso alle bande di diffondersi, “un serio problema” riguardo al quale “non abbiamo mai fatto niente“. In effetti, deportare membri presunti delle maras è stata negli Usa una priorità bipartisan per tre amministrazioni diverse. E per i presidenti di entrambe le parti, l’enfasi sulle gang ha avuto lo stesso scopo: fomentare la paura del crimine e degli stranieri, al servizio di un sistema che per lo più condanna gli immigranti anche quando non responsabili di crimini violenti.”

Outsorcing della violenza
Se le affermazioni di Trump sullo sradicamento delle maras dagli Stati Uniti suonano poco credibili, molto reale è stato invece l’impatto che ha avuto il ritorno delle bande giovanili in Centro America. La violenza di San Pedro Sula è figlia di questa politica, che ha esportato una nuova forma di violenza, dopo i decenni di lotta politica armata che hanno scosso tutto l’Istmo. Ora la violenza è diffusa, e si stima che le maras siano cresciute fino a raggiungere la cifra di circa 150.000 membri.
Tutto ciò si innesta su un tessuto sociale ed economico estremamente fragile, in democrazie di facciata e in Paesi dominati da una dirigenza corrotta e violenta. Da questa realtà fuggivano i primi 300 iniziatori della carovana. Immagini dal  documentario della ABC Most Dangerous City in the World: San Pedro Sula mostrano le case abbandonate dalle famiglie in fuga. Non si tratta però di baracche di una bidonville, nè di capanne di contadini. Sono decorose villette con giardino, dai muri di cinta  coronati di filo spinato, e dai muri crivellati di pallottole e coperti di graffiti delle gang.
Di questa realtà devono essere coscienti gli stessi governanti dei paesi centroamericani; le minacce di Trump di tagliare ogni aiuto se la carovana non fosse stata arrestata non hanno avuto effetto, ed essa è ormai in Messico.

Le radici della guerra
Per comprendere quale sia stato il percorso che ha portato alla nascita della carovana, e come sia possibile che un gruppo di gang di minorenni arrivi a condizionare la vita di milioni di persone, e la politica interna ed estera degli stessi Stati Uniti, occorre ricordare che il Centro America è stato investito negli ultimi vent’anni da un fenomeno di portata ben più grande, il grande flusso di droga e denaro che connette il Sudamerica agli Stati Uniti.
Si calcola che attualmente circa l’80 per cento del traffico di stupefacenti che percorre quella via transiti dai Paesi dell’Istmo, compromettendone in modo decisivo lo sviluppo economico, il potere politico, e la stessa sopravvivenza degli abitanti, perfino in una città industrializzata come San Pedro Sula. Ora che la carovana è ormai ben dentro al territorio messicano, si troverà ad affrontare il nord del grande vicino degli Stati Uniti, dove le mafie locali -principalmente Los Zetas e il Cartello di Sinaloa- controllano le frontiere, dove ora Trump minaccia di far affluire l’esercito, ma che continuano a essere permeabili ai traffici illegali. Cosa avverrà quando la carovana giungerà in prossimità della frontiera non è dato sapere. Ma un analisi degli eventi che hanno portato a questa crisi può aiutare a trovare un senso a questa paradossale e drammatica storia.
1 – continua

Nella foto di copertina foto di di Agensir 

Con questo articolo Maurizio Sacchi inizia la sua collaborazione con atlanteguerre.it. La seconda puntata dell’inchiesta nei prossimi giorni sul sito

 

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