di Gianna Pontecorboli dal Palazzo di Vetro
New York – La Casa Bianca ha autorizzato la CIA a condurre operazioni segrete, anche violente, contro le bande accusate di organizzare il traffico di droga all’interno del Venezuela e ha schierato nei Caraibi 10.000 soldati e una flotta navale composta da navi anfibie, navi da guerra e un sottomarino. I bombardieri strategici dell’Air Force hanno iniziato a sorvolare le coste del Venezuela. Un’altra imbarcazione è stata affondata, provocando sei nuove vittime, da aggiungere alle almeno ventuno già causate dagli attacchi delle forze statunitensi contro le barche accusate da Donald Trump di trasportare droga.
Le ultime notizie provenienti da un’area del Mondo spesso poco seguita dall’opinione pubblica internazionale rappresentano soltanto l’ennesimo segnale di una situazione ambigua e complessa, che rischia di provocare un nuovo e duro confronto all’interno del Palazzo di Vetro e di aggiungere il Mar dei Caraibi alle aree di crisi che l’ONU si sforza inutilmente di gestire. A segnalarlo, venerdì scorso, in coincidenza con i festeggiamenti per l’assegnazione del premio Nobel per la pace a María Corina Machado, è stata una tesa riunione del Consiglio di Sicurezza, convocata dal presidente di turno, l’ambasciatore russo Vasily Nebenzya, dopo aver ricevuto una lettera del rappresentante permanente del Venezuela, Samuel Moncada, per denunciare il rischio di attacchi “all’integrità territoriale e all’indipendenza politica della nostra nazione”. La storia, in realtà, ha molti altri risvolti ed è cominciata assai prima della riunione attorno al tavolo semicircolare del Palazzo di Vetro.
Come ha rivelato lunedì scorso, dopo una lunga inchiesta, il New York Times, l’ostilità di Donald Trump nei confronti del governo di Nicolás Maduro — proclamata pubblicamente e ripetutamente con parole durissime, e confermata dal posizionamento di una consistente forza navale americana nell’area — non aveva impedito nei mesi scorsi una serie di contatti tra i due Paesi. Nei colloqui, i rappresentanti venezuelani avevano apparentemente offerto alla Casa Bianca diverse allettanti prospettive economiche, come accordi preferenziali per le aziende americane interessate alle importazioni di petrolio, oro e minerali rari, la diminuzione delle esportazioni di petrolio verso la Cina e la revisione dei contratti per le estrazioni minerarie delle aziende cinesi, russe e iraniane. Dopo mesi di trattative condotte dall’inviato americano Richard Grenell, tuttavia, alla Casa Bianca è sembrata prevalere la posizione del segretario di Stato Marco Rubio, che da mesi denuncia Maduro come un leader illegittimo e come “un fuggitivo della giustizia americana”, e non ha mai nascosto le sue speranze nella fine di un regime che non solo gli Stati Uniti considerano illegale.
All’inizio di settembre, così, sono cominciati gli attacchi in acque internazionali contro le imbarcazioni accusate di trasportare droga verso gli Stati Uniti e di essere gestite da “terroristi”, anche se gran parte degli esperti del settore ritiene che la maggior parte dei narcotici diretti verso nord provenga da altri Paesi. Per sostenere la propria posizione e il contemporaneo rafforzamento delle forze militari americane nella zona, tuttavia, la Casa Bianca non ha presentato alcuna prova concreta. Tant’è vero che neppure i parlamentari che avevano chiesto di visionare i video originali degli attacchi alle imbarcazioni sono stati accontentati, e nei giorni scorsi diversi senatori e rappresentanti della Camera — anche repubblicani — hanno manifestato apertamente la loro insoddisfazione ed espresso la preoccupazione che Donald Trump si prepari ad attaccare militarmente il Venezuela per far cessare il regime di Maduro senza la necessaria approvazione del Congresso.
Al Palazzo di Vetro, l’inasprirsi della crisi ha trovato spazio, dimostrando la possibile gravità della situazione ma anche le molte ambiguità della comunità internazionale nei confronti di un regime che gran parte dei Paesi membri considera ormai illegittimo, dopo le frodi elettorali certamente perpetrate da Maduro e indirettamente confermate dall’assegnazione del premio Nobel alla sua rispettata e determinata oppositrice María Corina Machado. Attorno al tavolo del Consiglio di Sicurezza, solo John Kelley, consigliere politico della delegazione statunitense, ha difeso le mosse americane come un atto di “autodifesa” contro la minaccia dei cartelli della droga alla sicurezza nazionale. Dal canto loro, sia la Russia che la Cina non hanno esitato ad appoggiare la posizione del Venezuela, e l’ambasciatore Nebenzya ha apertamente accusato Washington di “preparare un’invasione militare” contro un Paese sovrano, definendo gli attacchi contro le imbarcazioni civili “una flagrante violazione del diritto internazionale”. Per tutti gli altri, ci sono state solo parole generiche per invitare le parti alla “costruzione del dialogo” e alla “risoluzione pacifica delle differenze”: una soluzione che, alla luce delle ultime mosse di Donald Trump e delle perplessità espresse dal Congresso americano, appare sempre più difficile.






