Ancora sangue nel Darfur

Gli attacchi di una milizia hanno provocato morti e l'avvio di un nuovo stato di emergenza. Sempre più in salita la transizione democratica del Sudan

Un attacco in un campo di sfollati e una serie di scontri nel Nord del Darfur, regione del Sudan, hanno provocato almeno nove morti e venti feriti. A rivelarlo e condannare il gesto è stata, martedì 14 luglio, la missione congiunta delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana nel Darfur (Unamid).

Gli scontri sono scoppiati nella città di Kutum il 12 luglio, sono proseguiti il ​​giorno seguente a Fata Borno. Gli aggressori hanno bruciato case, un mercato e hanno saccheggiato bestiame nella zona. “Mentre – si legge nel comunicato diffuso da Unamid – in molte stagioni del Darfur si è assistito a eventi del genere, è deplorevole che questi incidenti abbiano avuto luogo mentre il governo di transizione del Sudan e i movimenti armati sono vicini alla conclusione di negoziati che dovrebbero portare pace e stabilità e la promessa di prosperità nella regione del Darfur e in tutto il Sudan”. La Missione riferisce poi di aver inviato ulteriori unità di polizia formate nell’area, intensificato le pattuglie dentro e intorno ai punti caldi per garantire la sicurezza e la protezione degli sfollati interni e coinvolto i leader della comunità, esortando loro e tutte le parti alla moderazione.

Nei giorni precedenti, uomini armati non identificati, avevano attaccato un sit in pacifico. Secondo alcune fonti non governative, sarebbe responsabile una milizia armata affiliata alle forze di sicurezza del Sudan. “Le autorità del Sudan – ha dichiarato Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l’Africa Orientale e Meridionale – devono immediatamente rivedere le loro operazioni di sicurezza nel Darfur per assicurarsi di proteggere efficacemente i civili da questi attacchi deliberati e non provocati da parte di milizie armate”. Secondo quanto riportato da Amnesty International la popolazione di Fata Borno ha iniziato a protestare il 6 luglio per chiedere una maggiore sicurezza, protezione delle colture e il licenziamento dei funzionari affiliati al regime dell’ex presidente Omar al-Bashir. Le posizioni di potere nello stato del Sudan sono ancora ricoperte da ufficiali militari, nonostante il rovesciamento di Bashir, seguito alle proteste di massa del 2019. A causa di questa escalation di scontri, il 12 luglio il governo provinciale nel Nord Darfur ha dichiarato lo stato di emergenza in tutta la provincia.

La violenza ha inevitabilmente fermato gli accordi di pace tra il governo sudanese e la coalizione ribelle, la cui firma era prevista per il 14 luglio e rinviata a data da destinarsi.  I gruppi ribelli incolpano il governo di transizione nazionale e le autorità dello Stato di non aver gestito le milizie nella regione. La formazione ‘Rivoluzione Alleanza Frontale’, una delle partecipanti ai colloqui con il governo sudanese che si svolgono nella capitale sud-sudanese Juba, ha richiesto un’indagine. Ai colloqui di pace partecipano vari gruppi che operano nelle regioni del Darfur, del Nilo azzurro e del Kordofan Meridionale. La difficile transizione del Sudan verso la democrazia passa anche dalla risoluzione del conflitto nel Darfur e degli altri fronti aperti.

Il conflitto nel Darfur è iniziato nel 2003, dopo che i ribelli insorsero contro il governo centrale nella capitale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, sono state circa 300mila le vittime e oltre 2 milioni gli sfollati. Anche se da qualche anno i combattimenti aperti sono cessati, il conflitto rimane irrisolto e vari gruppi armati sono ancora presenti e controllano alcune aree.

di Red/Al.Pi.

*In copertina l’incendio a Fata Borno, immagine tratta da Amensty.org

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