Armenia, due anni di velluto

Cosa resta della rivoluzione pacifica del maggio 2018? Un bilancio

di Teresa Di Mauro

Attualmente l’Armenia è il Paese caucasico più colpito da Covid-19. Se il primo ministro e la sua famiglia ne sono appena guariti, la situazione nel paese rimane critica. Gli ospedali hanno raggiunto la massima capienza e l’economia, già precaria, è in grave affanno. In una tale situazione pensare ad altro è inimmaginabile.

Da due anni a questa parte però, nel mese di maggio, ricorre l’anniversario del movimento di protesta che nel 2018, nel giro di un mese, spinse alle dimissioni l’allora presidente e primo ministro per una settimana Serzh Sargsyan. Al suo posto fu nominato Nikol Pashinyan, al tempo leader di una coalizione all’opposizione e figura di riferimento delle proteste che hanno preso il nome di “rivoluzione di velluto” per la loro natura non violenta. Nonostante non si sia trattato di una rivoluzione in senso letterale, cioè di un cambiamento nella forma di governo, come ha valutato Marilisa Lorusso su Limes “Nell’ex Urss, un governo che per impopolarità e diffuse proteste rimetta il proprio mandato al parlamento è equiparabile a una rivoluzione”. Ma cosa possiamo osservare dopo due anni?

Un resoconto

Nonostante il successo del movimento sia stato rapido ed inaspettato, i cambiamenti profondi di una società necessitano al contrario di tempo. Le rivendicazioni dei manifestanti: la lotta alla corruzione, una leadership più democratica ed attenta ai bisogni della popolazione, un sistema elettorale più equo ed una riforma scolastica, sono tanto legittime quanto di complessa realizzazione. Secondo la giornalista Ani Paitjan, sulle spalle del governo pesano aspettative molto elevate e pochissimo margine di errore. I risultati più tangibili, secondo molti, riguardano la sfera della lotta alla corruzione.

“Credo che adesso ci sia una volontà politica reale di lotta contro la corruzione. Lo dimostrano il recupero di alcuni fondi statali [che a dicembre 2019 ammontavano a circa 92.772.225,00 euro] a seguito delle indagini per appropriazione indebita ed il fatto che adesso due presidenti della Repubblica armena [Kocharian e Sargsyan] siano incriminati” afferma Edgar Vardanyan, un analista politico. Dall’altro lato però, c’è chi come Arman Gharibyan, giornalista e difensore dei diritti umani, non ritiene ancora sufficienti le azioni del governo: “Sicuramente noto degli sviluppi positivi nella lotta alla corruzione, ma non sufficienti. Non ci sono cambiamenti significativi nelle forze dell’ordine ad esempio, dove il procuratore generale è sempre lo stesso, Arthur Davtyan, che ha servito prontamente e volentieri il regime precedente”.

Da annoverarsi dalla parte dei successi ci sono le elezioni parlamentari del dicembre 2018, le prime libere e democratiche della storia dell’Armenia indipendente, conclusesi con la vittoria schiacciante della coalizione guidata da Pashinyan. E se gli sforzi in materia di lotta alla corruzione mettono più o meno d’accordo le opinioni degli esperti, quest’ultimi concordano anche sugli aspetti critici dell’operato del governo. Alla leadership di Pashinyan viene soprattutto rimproverata la mancanza di intervento nelle sfere che riguardano la sicurezza nazionale e la giustizia, ambiti in cui sono in molti ad essere ancora invischiati con il regime precedente. “ Abbiamo bisogno di riformare il nostro sistema giudiziario e far dimettere i giudici corrotti se vogliamo che qualcosa cambi davvero” sottolinea Ani Paitjan.

Talvolta il dissenso con l’attuale governo è stato tale da spingere ragazzi come Mikayel Nahapetyan, uno tra gli studenti più attivi durante la rivoluzione e pubblico ufficiale dello staff di N. Pashinyan nei primi sei mesi di governo, a fondare un nuovo partito. “Siamo di fronte a una grande sfida: trovare gli strumenti giusti per opporci al governo. Questo è davvero impegnativo, poiché siamo molto abituati ad avere a che fare con regimi autoritari, ma non abbiamo esperienza nel gestire adeguatamente la nuova situazione” afferma Mikayel.

Politica estera

Per quanto riguarda la politica estera la posizione armena è rimasta pressoché invariata. La Russia rimane un partner strategico in termini energetici e di difesa, mentre allo stesso tempo l’Armenia cerca di intrattenere rapporti proficui anche con l’UE, con la quale nel 2017 ha firmato un accordo di partenariato. “Penso che i rapporti con la Russia siano più trasparenti ed egualitari. Allo stesso tempo credo sia necessario che vengano accelerati gli accordi con l’Unione Europea soprattutto per quanto riguarda la liberalizzazione dei visti”, ha dichiarato ad Atlante delle guerre Arsen Kharatyan, giornalista e consulente per le relazioni estere di Pashinyan nei tre mesi successivi la rivoluzione.

Anche per quanto riguarda il conflitto con l’Azerbaijan per il territorio del Nagorno Karabakh non ci sono state particolari novità; l’Armenia, che a seguito della guerra degli anni ’90 ha occupato il territorio e sette distretti ad esso adiacenti, sostiene che venga lasciato alla popolazione del Nagorno Karabakh (adesso solo armena), il diritto di autodeterminarsi. “Non vedo un cambiamento significativo nei negoziati tra i due Paesi, anche se l’anno scorso abbiamo avuto meno vittime in prima linea rispetto agli anni precedenti. Il conflitto del Nagorno Karabakh è un argomento molto delicato per gli armeni, in particolare per la generazione che ha partecipato alla guerra, quindi non credo che il governo di Pashinyan oserà compiere passi rivoluzionari in questo campo” ha concluso Arman Gharibyan.

D’altro lato l’Azerbaijan, come ha sottolineato in una lettera all’Atlante delle guerre l’ambasciatore azero in Italia Mammad Ahmadzada, continua a rivendicare la propria integrità territoriale sull’area, che considera di sua proprietà da tempi antecedenti il regime sovietico, ricordando le risoluzioni del consiglio di sicurezza dell’ONU di quegli anni e chiede che venga concessa ai profughi la possibilità di far ritorno alle proprie abitazioni. Le argomentazioni armene – il diritto internazionale all’autodeterminazione dei popoli, la sicurezza- vengono viste da Baku come un mero tentativo di giustificare l’occupazione dell’area.

Infine, sono forse i più delusi per la mancanza di cambiamenti, gli studenti, il cui supporto ha dato un enorme contributo al successo della rivoluzione. “Per buona parte del tempo, ho partecipato segretamente alle proteste per non far preoccupare i miei genitori. Gli studenti sono stati il cuore del movimento. E’ triste vedere che niente è cambiato” racconta Saten Hakobyan, al tempo studentessa. “Chiedevamo una riforma scolastica ed un’istruzione di maggior qualità, ma le nostre richieste non sono state ascoltate. Nonostante vengano organizzati incontri con i ministri affinché possano ascoltare direttamente cosa abbiamo da dire, non viene fatto niente” afferma deluso Davit Petrosyan, leader degli studenti.

A seguito dell’emergenza Covid-19, la pressione economica insostenibile, dovuta al blocco delle attività, ha spinto la leadership armena a rilasciare le misure restrittive probabilmente troppo presto. Nonostante un incremento salariale generale, negli ultimi due anni l’economia armena non è riuscita a sollevarsi e le conseguenze della pandemia potrebbero peggiorare una situazione già piuttosto precaria.

Le fotografie delle manifestazioni del 2018 in copertina e nel testo sono di  Hakob Manukyan

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